Ci sono novità sui titoli di stato in emissione dall’anno prossimo. Le ha annunciate il direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera. Tutti i bond a medio-lunga scadenza (sopra 12 mesi) saranno emessi con le nuove Clausole di Azione Collettiva (CACs). In questo modo, l’Italia recepirà la riforma voluta dal Meccanismo europeo di stabilità (MES). Scatterà formalmente a partire dal primo giorno del secondo mese successivo all’entrata in vigore delle modifiche al Trattato di funzionamento dell’Unione Europea.

Cosa sono le CACs e cosa cambia dal 2022? Si tratta di clausole introdotte a partire dal 2013, che i governi dell’Unione Europea possono apporre fino al 45% dei titoli di durata superiore ai 12 mesi emessi ogni anno.

Esse fissano le condizioni per i casi di ristrutturazione del debito sovrano e puntano a creare certezze normative e a semplificare l’eventuale processo. Non sfugga che questa novità entrò in vigore in una fase drammatica dell’Eurozona, quando i mercati finanziari scommettevano sull’uscita dall’euro e il default della Grecia, ma anche di paesi come Italia, Spagna e Portogallo.

CACs sui BTp, ecco cosa cambia

Le CACs prevedono che lo stato possa chiedere agli obbligazionisti di accettare il taglio del valore nominale dei bond (“haircut”), la riduzione delle cedole, l’allungamento delle scadenze (“roll-over”), cambiare valuta di denominazione dei titoli e modificare le condizioni sugli obblighi di pagamento dell’emittente. Affinché tali modifiche siano possibili, è necessario che siano approvate con doppia votazione: dall’assemblea degli obbligazionisti in possesso dei singoli titoli e dell’assemblea composta da tutti gli obbligazionisti in possesso dei titoli oggetto della ristrutturazione.

Le nuove CACs sono anche dette “single limb” e prevedono un’unica votazione da parte dell’assemblea composta da tutti gli obbligazionisti in possesso dei titoli oggetto di ristrutturazione. I governi possono, tuttavia, prevedere sub-aggregazioni dei titoli sulla base della loro tipologia.

In questo modo, il processo risulta snellito, semplificato e, in teoria, comportare un minore dispendio di tempo ed energie per entrambe le parti. Tuttavia, c’è il rischio che, venuto meno il sostegno monetario della BCE, il mercato percepisca questa novità come il tentativo di Bruxelles di avallare la rinegoziazione dei debiti più rischiosi, come quello italiano. S’innescherebbe un meccanismo perverso di auto-avveramento della profezia.

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