I bond della Turchia sono tornati a fare gola al mercato. I ritorni ottenuti nelle ultime settimane stanno risultando finanche quadrupli rispetto a quelli realizzati con le altre obbligazioni emergenti. Ma basterebbe dare un occhio ai grafici dei rendimenti sovrani per capire che, in apparenza, il picco del pessimismo sarebbe alle spalle. La scadenza a 10 anni offre oggi il 17,51%. A fine giugno, stava al 18,86%. La scadenza a 2 anni è migliorata molto meno, passando nello stesso frangente dal 18,89% al 18,39%.

Al momento, lo spread tra decennale e biennale è di -88 punti base.

In aprile, era arrivato a +53. Questo significa che la curva dei bond della Turchia è tornata ad invertirsi nell’ultimo mese e mezzo. Ma a marzo, prima che il governatore centrale Naci Agbal fosse deposto dopo appena 4 mesi e mezzo di incarico dal presidente Erdogan a favore di Sahap Kavcioglu, la curva sovrana si mostrava nettamente più invertita. Lo spread tra le due scadenze arrivò a sfiorare -250 punti.

Allora, il mercato scontava una politica monetaria restrittiva, che avrebbe tenuto a lungo i tassi d’interesse alti e avrebbe così abbassato l’inflazione. Adesso, il discorso è parzialmente cambiato. Il governatore non fa che rassicurare che i tassi saranno tenuti più alti dell’inflazione e che un loro taglio non sia imminente. Tuttavia, a maggio l’inflazione è diminuita su base annua per la prima volta dal luglio 2020. Pur restando molto alta (16,6%), i timori peggiori sembrano passati. E si consolida la convinzione che un taglio dei tassi vi sarà presto, ma senza colpire ulteriormente la lira turca.

Questa perde il 14,5% quest’anno e sosta nelle ultime settimane nei pressi dei minimi storici contro il dollaro, a un cambio di 8,69. Malgrado questi dati da brivido, Bloomberg riporta che al momento i bond della Turchia corporate offrono rendimenti medi di 78 punti base inferiori a quelli sovrani.

E ciò, malgrado il boom delle emissioni obbligazionarie negli ultimi mesi. Sarebbe il segnale che il mercato starebbe sì continuando a guardare con sospetto il comparto sovrano, ma restando ad Ankara e impiegando i capitali a favore del debito aziendale.

Un azzardo, data la pessima gestione monetaria turca di questi anni. L’assenza di autonomia dell’istituto rispetto al potere politico sta impedendo allo stato, ma anche alle imprese, di agganciare il trend dei rendimenti a zero sui mercati globali. Ma forse il rallentamento dei prezzi delle materie prime sta allentando le tensioni sull’inflazione domestica, fermando la caduta dei bond della Turchia.

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