Non è bastato il crollo della lira turca seguito al licenziamento del governatore Naci Agbal a marzo. Il presidente Erdogan ha pubblicato nelle scorse ore un nuovo decreto in Gazzetta Ufficiale, con il quale manda a casa anche uno dei quattro vice-governatori della banca centrale. Oguzhan Ozbas è stato rimpiazzato con Semih Tumen. La sua colpa sarebbe stata quella di non essersi allineato al pensiero del governo sui tassi d’interesse. Nel novembre scorso, l’uomo aveva criticato la politica monetaria turca per l’utilizzo di strumenti secondari per tenere l’inflazione sotto controllo.

Adesso, quattro dei cinque componenti del board sono in carica da meno di un anno, tra cui lo stesso governatore Sahap Kavcioglu, il quarto dal luglio 2019. Il presidente Erdogan sostiene la tesi non convenzionale, secondo la quale l’inflazione si contrasta con i bassi tassi d’interesse. A suo avviso, ciò conduce a maggiori investimenti delle imprese, per cui l’offerta di beni e servizi cresce e i prezzi al consumo col tempo di abbassano.

L’evidenza dice il contrario. Il crollo della lira è stato incessante negli ultimi anni: -80% dal 2011. Solamente dal licenziamento di Agbal, il cambio contro il dollaro segna -14%. Stamane, viaggia a oltre 8,40. L’impatto sulla vita di tutti i giorni si sta facendo sentire. Ad aprile, l’inflazione è salita sopra il 17%. Metteteci anche un tasso di disoccupazione sopra il 13% e capirete perché gli ultimi sondaggi segnalano una caduta dei consensi per il presidente Erdogan e il suo Akp. Accreditato del 32,3% da Turkiye Raporu, avrebbe perso il 16% in poco più di un anno. Praticamente, un elettore su tre avrebbe voltato le spalle alla maggioranza islamico-conservatore al governo da quasi due decenni.

Paradossalmente, più la sua popolarità evapora e peggio Erdogan reagisce sul fronte dell’economia. L’ennesimo rimpasto alla banca centrale denota l’impazienza di toccare con mano un’accelerazione della crescita economica nel paese.

Ma il crollo della lira è figlio anche di una debolezza strutturale macro della Turchia: la bilancia commerciale è cronicamente passiva e così anche il saldo stesso delle partite correnti. In sostanza, l’afflusso dei capitali non riesce neppure lontanamente a finanziare l’eccesso di importazioni e, pertanto, serve un cambio più debole per riequilibrare il mercato. Il classico cane che si morde la coda.

Le prossime elezioni presidenziali si terranno nel 2023. L’apparente buona notizia per Erdogan è che non sembra avere ancora rivali alla sua altezza. Le opposizioni non hanno capitalizzato affatto dalla sua caduta del consenso. Tra tensioni con l’Occidente, parte del Medio Oriente e relazioni ambigue con la Russia di Vladimir Putin, il “sultano” resta centrale nella vita politica di Ankara. Ma dopo avere sostenuto il boom economico con il suo arrivo al governo nel 2003, adesso i turchi iniziano a credere che sia diventato un freno al suo proseguimento. E le bizzarrie interne e in politica estera di Erdogan sono state tollerate proprio in cambio delle promesse di sviluppo. Da tempo, i costi di questa politica stanno superando i benefici.

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