Borse su, bond anche. Jerome Powell ha messo i mercati finanziari in euforia con il suo discorso di mercoledì scorso. Intervenendo a un evento del Brookings Institution, il governatore della Federal Reserve si è detto pronto a ridurre il ritmo della stretta monetaria già per il mese di dicembre. Erano le parole che volevano sentire gli investitori dopo mesi di discorsi da “falco”. La sola ipotesi che i tassi FED all’ultimo board dell’anno salgano meno degli ultimi incontri è stata sufficiente a far affluire capitali freschi sui T-bond.

Il decennale americano offriva il 3,75% prima del discorso di Powell. Venerdì, scendeva fino al 3,53%, ai minimi da settembre. All’apice di ottobre, il rendimento a 10 anni si era avvicinato al 4,25%.

La parole del governatore hanno mutato le aspettative del mercato. I tassi FED sono attesi a un massimo del 5% entro la prima metà dell’anno prossimo, per scendere entro fine 2023 al 4,50%. Fino a pochi giorni fa, l’apice era intravisto al 5,25% e non si scorgeva alcun taglio dei tassi rilevante da qui ad un anno.

La situazione si è parzialmente evoluta anche sul mercato europeo. L’Euribor a 3 mesi dovrebbe salire ora fino a un massimo del 3%, un po’ meno delle previsioni di poche sedute fa. Ciò spiega perché lo spread BTp-Bund si sia ristretto sotto i 190 punti base e perché il BTp a 10 anni sia sceso al 3,65% da quasi il 4,90% di fine ottobre. Nel frattempo, il cambio euro-dollaro si è portato a 1,05, ai massimi dal giugno scorso. Venerdì, a seguito di dati sul lavoro USA più positivi del previsto, gli indici sui mercati sono scesi per il timore che la fine della stretta non sia così vicina.

Rialzo tassi FED dello 0,50% a dicembre?

La discesa dei rendimenti globali, tuttavia, può non essere legata solamente alle attese meno da “falco” sui tassi FED. Perlomeno, può assumere un significato parzialmente diverso da quello che i mercati le stanno assegnando da qualche settimana a questa parte.

E’ vero che l’inflazione americana stia iniziando finalmente a scendere. E’ vero anche che la stretta monetaria globale sembra perlopiù varata. Ma la corsa ai bond celerebbe anche il timore dei mercati per una recessione dell’economia mondiale o di parte rilevante di essa.

Questo argomento cozza, però, con il rialzo delle quotazioni azionarie. Solo nel caso in cui si prevedesse la disinflazione in un contesto di crescita economica la ripresa delle borse avrebbe un senso. Ma i segnali che arrivano dal mercato dei T-bond non sembrano andare in tale direzione. La curva delle scadenze negli USA è invertita da tempo. Il rendimento a 2 anni rende a premio sui 10 anni come mai dal 1981. Un fenomeno che segnalerebbe l’attesa di recessione per l’economia americana.

Il rialzo dei tassi FED a dicembre sarebbe nell’ordine dei 50 punti base o 0,50%. Salirebbero al 4,50%. Verosimilmente, vi saranno altri 1-2 aumenti fino ad arrivare al 5%. Ma non possiamo neppure scartare l’ipotesi che, a seguito di un’eventuale discesa dell’inflazione americana anche nel mese di dicembre e in misura marcata, Powell decida di sospendere la stretta. Anche perché lo stesso ha posto l’accento sulla crescita economica durante il discorso di settimana scorsa. Questo scenario sì che metterebbe le ali al mercato, soprattutto obbligazionario.

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