Un anno fa, la scadenza del 9 marzo trascorreva infruttuosa per gli obbligazionisti titolari dell’Eurobond in dollari con cedola 6,375% (ISIN: XS0493540297) e così nel Libano scattavano i 30 giorni del periodo di grazia prima di dover dichiarare formalmente il default. Da allora, la crisi economica e finanziaria nel paese non ha fatto che acuirsi, complice la pandemia, mentre quella politica è diventata francamente insostenibile e grottesca. A 12 mesi di distanza dall’evento creditizio, Beirut brucia, ahi noi, anche letteralmente. A inizio agosto 2020, due esplosioni nel porto della capitale provocarono 211 morti, oltre 600 feriti e decine di migliaia di sfollati.

A seguito della tragedia, il governo di Hassan Diab, nato solamente poco più di sei mesi prima, si dimise. Da allora, si attende il nuovo esecutivo.

Basterebbe questo piccolo quadro per capire la situazione disperata del Libano. Ma il quadro è molto peggiore di come lo dipingiamo: PIL collassato del 19,2% nel 2020 e atteso in calo a doppia cifra anche quest’anno; cambio a -85% sul mercato nero dall’ottobre 2019; riserve valutarie prosciugate; inflazione sopra il 145% a dicembre; carenza diffusa di beni; almeno il 60% della popolazione sotto la soglia della povertà e assenza di aiuti internazionali per mancanza dei requisiti politici fondamentali, tra cui l’esistenza di un governo nel pieno delle sue funzioni e con un programma di riforme.

Libano come una polveriera. E i mercati finanziari prendono nota. L’Eurobond che fece scattare il default oggi quota a poco più di 10 centesimi. In pratica, inserirne in portafoglio per un valore nominale di 1.000 dollari richiede il pagamento di appena 100 dollari. E il bond, sempre in valuta americana, che scade nel mese di aprile e con cedola 8,25% (ISIN: XS0250882478), si aggira in area 12,50 centesimi, quotando a un ottavo del valore nominale. Male anche il tratto a lungo termine: il bond 23 marzo 2037 e cedola 7,25% (ISIN: XS1586230309) si compra per circa 13,50 centesimi di dollaro.

Il default in Libano non finirà presto, ma i bond sono scesi a prezzi allettanti

Molto peggio della Grecia

Per quanto infimi siano i prezzi, l’appeal resta inesistente. Il debito pubblico libanese rispetto al PIL si attesta al 170%, tra i più alti al mondo. La banca centrale detiene buona parte dello stock, così come circa un terzo le banche commerciali del paese. E paradossalmente ciò allontana l’esito di una ristrutturazione dei bond, perché gli istituti non possono permettersi di subire perdite sugli attivi iscritti a bilancio, altrimenti dovrebbero ricapitalizzarsi. E alla fine, il conto lo pagherebbe lo stesso stato con un programma di aiuti pubblici, ovviamente finanziato attingendo ai prestiti internazionali. Ma sarebbe come il cane che si morde la coda. Il debito uscirebbe dalla porta e rientrerebbe dalla finestra.

Uno scenario che abbiamo imparato a conoscere bene nell’ultimo decennio con la Grecia, ma qui c’è una differenza rilevante e in peggio: il Libano non fa parte di un’area monetaria forte. La sua banca centrale batte una moneta screditata e diventata carta straccia con l’inflazione a tre cifre, per cui non possiede quella credibilità che Atene è capace di trasmettere ai mercati per il semplice fatto di appartenere all’Eurozona. Senza neppure un governo, la soluzione per uscire dal default non sembra imminente. Unico possibile appiglio: per quanto accennato sopra, probabile che Beirut non calchi eccessivamente la mano con un “haircut” troppo penalizzante per gli obbligazionisti, puntando più ad allungare le scadenze e a tagliare le cedole.

Mentre l’Argentina si avvia al nono default, il Libano è una polveriera

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