E anche la Grecia viene travolta dall’emergenza Coronavirus, quando stava appena per risollevarsi dall’ultima devastante e lunghissima crisi economica iniziata nel lontano 2008 e nel corso della quale ha perso oltre un quarto del pil. Secondo Unicredit, quest’ultimo si contrarrà quest’anno del 18,6%, praticamente mandando in fumo in pochi mesi tutti i sacrifici compiuti dai greci nell’ultimo decennio. Il debito pubblico, che nel 2019 aveva chiuso al 190% del pil, rischia di esplodere a livelli insostenibili. Dobbiamo preoccuparci? A leggere la curva dei rendimenti, la risposta sarebbe un “ni”.

Da un lato, essi si confermano i più alti dell’Eurozona, dall’altro si mostrano lontanissimi dai livelli massimi toccati nei periodi bui della crisi finanziaria. Il decennale resta sotto il 2% e la scadenza più longeva, quella del 2042, non arriva al 2,25%.

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Certo, a febbraio il rendimento a 10 anni risultava sceso ai minimi storici, in area 0,95%. Da allora, è più che raddoppiato e il vantaggio che era arrivato a spuntare sul mercato secondario rispetto al BTp di pari durata è svanito del tutto. Ma vediamo nel dettaglio quali effetti avrà questa crisi sulla sostenibilità del debito pubblico ellenico. Anzitutto, il crollo del pil dovrebbe esitare un calo delle entrate fiscali intorno ai 17-18 miliardi di euro. E si tenga conto che per affrontare l’emergenza e attutire le pesanti ripercussioni economiche, il governo di Kyriakos Mitsotakis ha già stanziato 6,8 miliardi per coprire le esigenze fino a fine aprile e si tiene pronto a spendere altrettanti miliardi a maggio.

Il fattore liquidità

Per sua previdenza, Atene aveva accantonato oltre una trentina di miliardi di euro tra aiuti erogati dall’Eurozona e non spesi e nuove emissioni di titoli di stato nell’ultimo biennio. Con l’emissione del primo bond a 15 anni erogato dopo il 2010, la liquidità che il Tesoro ha in cassa si aggirerebbe sui 34,5 miliardi.

E se consideriamo che per quest’anno fosse stato fissato un avanzo di bilancio nell’ordine di 1,9 miliardi, in totale la Grecia parte da risorse disponibili per un totale di quasi 36 miliardi e mezzo. Con questi numeri, il deficit stimabile sulla base del crollo atteso del pil e delle misure varate dal governo sarebbe di quasi 31 miliardi, più che coperto dalla liquidità. Nel frattempo, il rapporto debito/pil volerebbe sopra il 230%.

Nel breve, però, non ci sarebbe ragione apparente per andare nel panico, anche a fronte di questi numeri a dir poco raggelanti. Anche perché i bond ellenici sono stati inseriti dalla BCE nel piano di acquisti di assets condotti con le nuove misure di stimolo varate a marzo e che offriranno loro sostegno ai prezzi. Tuttavia, è pur vero che viene meno la garanzia che sinora aveva generato il rally nell’ultimo anno e mezzo, vale a dire l’ampia liquidità a copertura delle scadenze pluriennali successive. Ma nemmeno tenendo conto di ciò scontiamo un reale rischio di default imminente, in quanto meno di un quinto del debito è oggi in mano ai creditori privati. Atene risulta esposta essenzialmente verso gli altri stati dell’Eurozona, sui quali ricadrà l’onere di una probabilissima ristrutturazione, essendo già essa avvenuta ai danni degli obbligazionisti nella primavera del 2012.

In virtù dell’andamento sfavorevole sui mercati, il Tesoro ha rinviato al momento la seconda asta a medio-lungo termine di quest’anno, che si sarebbe dovuta tenere al solo fine di accrescere le disponibilità liquide, non essendo stato fissato alcun deficit per quest’anno. Aggiungiamo, infine, che se anche non fosse in grado di accedere ai capitali privati da qui al medio periodo, una volta esaurita la liquidità in cassa Atene sarebbe più incline all’Italia a richiedere nuovi aiuti del MES, avendo già superato l’umiliazione dello stigma sui mercati e di fatto essendo ancora monitorata dai creditori pubblici europei e dallo stesso Fondo Monetario Internazionale.

Non che la situazione sia da sottovalutare, ma forse è difficile immaginare che per la Grecia possa andare molto peggio di così sul piano strettamente finanziario.

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