Christine Lagarde terrà il suo primo board come governatore della BCE tra meno di due settimane e già fa discutere per alcune sue posizioni abbastanza divisive esternate in discorsi e dichiarazioni al pubblico. Non solo ha chiesto esplicitamente a Germania e Olanda di allentare la presa sui conti pubblici per sostenere la ripresa dell’Eurozona, ma si è detta anche favorevole a dare il suo contributo alla lotta contro i cambiamenti climatici, lasciando intravedere una possibile svolta “green” per Francoforte. La Bundesbank ha ribadito la sua contrarietà sia alla prima ipotesi e sia a questa seconda opzione, chiarendo a Madame che compito della BCE sia solo di centrare la stabilità dei prezzi, non anche di creare “distorsioni” sui mercati con azioni che non rientrano nei compiti di una banca centrale.

Nel concreto, in cosa consisterebbe questa svolta ambientalista? Ad oggi non si conoscono i dettagli tecnici, ma si sa che Lagarde sarebbe favorevole a inserire nel portafoglio della BCE i cosiddetti “green bond”. Si tratta di titoli del debito, emessi sia dal settore privato (società e banche) e sia dagli stati, i cui proventi sono destinati a finanziare progetti per l’abbattimento delle emissioni inquinanti. Per quanto non esista alcuna normativa che ponga paletti precisi in materia, sul mercato globale si registra un boom di emissioni, che quest’anno dovrebbero persino superare i 250 miliardi di dollari.

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Discriminare gli emittenti che inquinano?

Già di per sé, la novità sarebbe dirompente per il semplice fatto che le emissioni di obbligazioni verdi siano ancora una frazione dell’intero mercato dei bond, per cui se la BCE decidesse di acquistarli in quantità significative (altrimenti non avrebbe molto senso), i prezzi di questi titoli tenderebbero ad impennarsi, deprimendo quelli dei titoli ordinari per il classico effetto spiazzamento.

Ma c’è di più: la svolta “green” potrebbe tradursi non solo in un premio per chi disinquina, ma anche in una punizione per chi inquina. Come? Cessando gli acquisti delle obbligazioni emesse da stati che non rispettino gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e delle società attive in comparti inquinanti.

Per fare un esempio concreto, la BCE deciderebbe di acquistare le obbligazioni “ibride” Enel, che pur non essendo green tout court, riflettono l’impegno della compagnia a tagliare le emissioni inquinanti, al contempo liberandosi dei bond ENI ordinari, in quanto emessi da una compagnia petrolifera, che per natura produce CO2 in quantità superiore alla media delle attività economiche. Quand’anche si optasse per una soluzione più morbida, come quella dei mancati acquisti futuri e non delle cessioni dei titoli già in portafoglio, il mercato subirebbe uno stravolgimento non di poco conto. La BCE spingerebbe i capitali verso i green bond e li dissuaderebbe dal dirigersi verso settori “sgraditi”.

Questo si porrebbe in netto contrasto con la presunta “neutralità” di una banca centrale. Con quale diritto a Francoforte si aiuterebbero alcune imprese e se ne colpirebbero altre? E le seconde starebbero a guardare o farebbero pressioni sui governi, affinché simili politiche non vengano attuate? La Germania, già sul piede di guerra contro la BCE sugli stimoli monetari, troverebbe nuove e buone ragioni per contrastare il successore di Mario Draghi. Difficile immaginare che la svolta green si traduca in soluzioni così radicali, ma il dibattito vi sarà per volontà della Lagarde e provocherà divisioni in seno al board più di quelle viste nell’ultima fase del mandato dell’italiano.

Lotta ai cambiamenti climatici con “green bond”, scontro in BCE tra Lagarde e Weidmann

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