Da alcuni giorni, il tasso di cambio tra lira turca e dollaro ha oltrepassato la soglia di 10, anticipando di qualche mese le previsioni degli analisti di Commerzbank, i quali nel marzo scorso avevano pronosticato quello che allora sembrava essere uno scenario remoto. Adesso, gli stessi vedono il cambio a 11 per fine anno. Da inizio 2021, la valuta emergente perde il 27%. E dopodomani, la banca centrale si riunisce per aggiornare la sua politica monetaria. Le attese sono per un terzo taglio dei tassi consecutivo da 100 punti base.

Il costo del denaro scenderebbe così al 15%. Era al 19% a settembre. Nel frattempo, l’inflazione a ottobre è salita a ridosso del 20% (19,89%).

L’allentamento monetario in piena reflazione è la risposta sconclusionata pretesa dal presidente Erdogan per sostenere l’economia turca, ma che rischia di provocare la crisi definitiva della bilancia dei pagamenti. Il mercato dei bond sta un po’ scontando questo scenario, se è vero che la scadenza a 10 anni offre un rendimento del 19,67%. Detto questo, sembra che i bond denominati in valute straniere stiano tutt’altro che prendendolo in considerazione.

Bond in dollari, l’impatto della lira turca

Il decennale in dollari, scadenza 15 gennaio 2031 e cedola 5,95% (ISIN: US900123DA57), oggi rende il 6,67%. Siamo esattamente a 13 punti percentuali sotto il rendimento del bond in lire turche, mentre lo spread con il Treasury di pari durata si aggira sui 505 punti. All’inizio dell’anno, il rendimento era ancora in area 5,25% e lo spread a 435 punti. In verità, non vediamo un’impennata né del rendimento, né dello spread. E la conferma ci arriva dalla scadenza a 5 anni, 14 aprile 2026 e cedola 4,25% (ISIN: US900123CJ75): rendimento al 5,40%, anche in questo caso a circa -13% rispetto al bond in lire turche e spread con Treasury a 414 punti base, in lieve rialzo dai 406 di inizio anno, quando il titolo offriva il 4,41%.

Voi direte che non ci sarebbe ragione per pretendere rendimenti molto più alti sui bond in valute forti della Turchia.

Non è così. In questi due ultimi mesi dell’anno, tra debiti dello stato e del settore privato vi sono 13,3 miliardi di dollari da rimborsare ai creditori esteri. Altri 25,1 miliardi arriveranno in scadenza nel primo semestre del 2022. Tutto questo, a fronte di riserve valutarie nette stimate in 29,3 miliardi. Ma se dal dato escludiamo le operazioni “swap”, scendiamo a -37,5 miliardi. In altre parole, la banca centrale turca ha qualche dollaro in cassa solamente grazie agli accordi con gli altri istituti, in assenza dei quali non avrebbe come rimborsare i debiti esteri.

A causa di ciò, non può neppure tentare di difendere il cambio. E ha dovuto erogare direttamente 258 milioni di dollari alla società energetica statale Botas per importare il gas, tanto la situazione si è fatta grave sul mercato domestico. Chi pensa che i bond turchi in dollari, euro, etc., siano scevri dai rischi del crollo della lira si sbaglia di grosso. La politica monetaria insensata della banca centrale, la cui reputazione è ormai inesistente, ha allontanato i capitali stranieri e quelli domestici sono zavorrati dalla maxi-perdita del potere d’acquisto. Con riserve così scarse, come potranno questi titoli essere ripagati alle rispettive scadenze?

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