La giornata di ieri era molto attesa sui mercati finanziari. Nel primo pomeriggio, ore italiane, è stato reso noto il dato sull’inflazione negli USA ad aprile. E’ risultato leggermente inferiore alle attese: del 4,9% annuo contro stime medie degli analisti al 5%. E’ stata la crescita tendenziale più bassa da due anni esatti. Ancora più importante è stato il calo dell’inflazione “core”, al netto di energia e generi alimentari: +5,5% dal +5,6% di marzo. Altri dati salienti: salari orari a -1,1% in termini reali e aggregato monetario M2 a -4,1%.

Cosa significano questi numeri nel loro complesso? Pur lentamente, l’economia americana si sta disinflazionando. La Federal Reserve può prendersi quella pausa annunciata dal governatore Jerome Powell nei giorni scorsi. Il rialzo dei tassi d’interesse deciso a inizio mese potrebbe essere stato l’ultimo. La stretta monetaria si sarebbe conclusa.

In effetti, i tassi sono stati portati al 5,25% con un’inflazione scesa sotto il 5%. I tassi reali tornano in territorio positivo dopo numerosi anni. Non è un caso che ieri lo spread in Italia sia leggermente sceso sotto 190 punti base. E i rendimenti del BTp a 10 anni sono anch’essi scesi fin sotto il 4,20%. Lo stesso era accaduto sul mercato sovrano americano. Dopo il dato sull’inflazione USA, T-bond a 10 anni verso il 3,45% e T-bond a 2 anni al 3,97%.

Cosa c’entrano i rendimenti italiani con il calo dell’inflazione USA? C’entrano, eccome! Se la FED allenta la sua politica monetaria o perlomeno smette di restringerla, la pressione sulla Banca Centrale Europea (BCE) si riduce. In automatico, il cambio euro-dollaro tende a rafforzarsi, contribuendo a disinflazionare l’economia nell’Area Euro. I tassi d’interesse fissati da Francoforte si avvicineranno ai livelli americani con il prossimo rialzo, un fatto che attirerà i capitali d’Oltreoceano. Ciò farà bene al mercato obbligazionario in euro.

Inflazione USA giù positivo per BTp

Tra l’altro, l’andamento dell’inflazione USA sembra anticipare il trend nell’Area Euro.

Pur con le differenze legate alla crisi energetica che ha sconvolto la nostra economia, i rialzi dei prezzi e dei tassi negli Stati Uniti partirono prima. La discesa sotto il 5% dei primi segnala che la lotta al carovita presto sarebbe vinta anche dalla BCE. Ovviamente, un dato al 4,9% resta alto, considerato il target del 2%. D’altra parte, il crollo della liquidità in circolazione (M2) e la discesa dei salari reali per il venticinquesimo mese consecutivo portano a prevedere una disinflazione più veloce nei prossimi mesi. Nell’Area Euro è stata la BCE ad avere accertato un calo dei prestiti superiore alle attese, mentre la produzione industriale è in crisi in Germania, ma anche in Italia e Francia.

Tutti questi elementi ci inducono a ritenere che il rialzo dei tassi BCE sia prossimo alla conclusione. A dirlo è stato ieri niente di meno che Joachim Nagel, il “falco” a capo della Bundesbank. Ha in un certo senso spento le ambizioni di chi, nel Nord Europa, continua a reclamare una stretta duratura. E le sue parole tradiscono il timore dei tedeschi per la tenuta dell’economia domestica. La fine quanto prima della stretta sarebbe un tonificante per i titoli di stato italiani, percepiti maggiormente a rischio con costi di emissione del debito più alti. Dovremmo attenderci rendimenti dei BTp e spread in calo. Dopo l’inflazione USA, sarebbe il dato di maggio nell’Area Euro ad imprimere un’eventuale svolta al board di giugno.

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