E’ un ottimo inizio per il rublo, che aveva concluso il 2019 a un cambio di 62 contro il dollaro, segnando il +10,5%, e ieri scambiava a 61,25, rafforzandosi di circa l’1,2% in poco più di una settimana, portandosi ai massimi da maggio 2018. La valuta russa segue l’andamento delle quotazioni del Brent, che non a caso nelle ultime sedute si sono surriscaldate sulle tensioni tra USA e Iran, pur ripiegando in area 65 dollari al barile dopo la “de-escalation” apparentemente voluta dall’amministrazione Trump.

Il rafforzamento del cambio spinge in basso i rendimenti sovrani e a sua volta è indice degli afflussi di capitali esteri. Gli OFZ a 10 anni emessi da Mosca rendono il 6,24%, mai così bassi, mentre quelli a 2 anni offrono il 5,66%, ai minimi dal luglio 2011, cioè da ben 8 anni e mezzo. Certo, le tensioni nel Golfo Persico sembrano un’arma a doppio taglio per la Russia. Da un lato, tengono alte le quotazioni petrolifere, alimentando i ricavi delle esportazioni russe, dall’altro mettono a rischio i già tesi rapporti tra Mosca e Washington, con la prima a essere sottoposta da quasi 6 anni alle sanzioni dell’Occidente sull’occupazione della Crimea.

Bond Russia in rubli, i capitali tornano da Putin

Il circolo virtuoso con l’inflazione

Detto questo, il “super” rublo gioca a favore dei bond anche per un’altra ragione: esso abbassa i costi dei beni importati, riducendo i tassi d’inflazione e ampliando i margini di manovra della banca centrale sui tassi d’interesse. Questi ultimi sono stati tagliati al 6,25% a dicembre e si confrontano con un’inflazione al 3% a dicembre, in calo dall’oltre il 5% dei primi mesi del 2019. Il governatore Elvira Nabiullina ha spazio per tagliare ancora senza impattare negativamente sul cambio. Di per sé, ciò alimenterebbe gli acquisti degli OFZ, facendone salire i prezzi e scendere i rendimenti.

E proprio i rendimenti a medio-breve scadenza scontano tassi più bassi, a conferma che le aspettative del mercato sarebbero nel senso di una politica monetaria più accomodante.

Prima di Natale, il ministro delle Finanze, Anton Siluanov, ha adombrato l’ipotesi di emissioni sui mercati internazionali per quest’anno in una valuta diversa dal dollaro americano. La mente corre all’euro, una valuta in cui già Mosca ha emesso il suo debito sovrano. Ad esempio, a settembre scade un bond denominato nella moneta unica e con cedola 3,625% (ISIN: XS0971722342) e che quota in area 102,5, esitando un rendimento di poco superiore allo 0,40%, contro circa il 6% di un titolo di pari durata in rubli.

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