Aste record per Mosca, che con le due ultime emissioni di OFZ a cedola fissa ha incassato sui mercato 124,6 miliardi di rubli, qualcosa come 1,72 miliardi di euro. In particolare, quasi 40 miliardi sono stati raccolti per il titolo con scadenza a 15 anni e i restanti 85 miliardi per il quinquennale. Il successo dei collocamenti lo si deve al ritorno dell’appetito da parte degli investitori stranieri, che negli ultimi mesi sono tornati a dirottare i loro capitali sulla Russia, allettati da un quadro macro complessivamente positivo e la cui evoluzione lascia presagire buone notizie.

Anche la Russia alza i tassi contro il rublo debole, incassi record per il petrolio a Mosca

Anzitutto, i rendimenti medi lungo la curva si attestano all’8%, numeri che si raffrontano con i rendimenti azzerati o negativi di gran parte dei bond governativi emessi sui mercati avanzati. Ed è vero che la Banca di Russia ha alzato i tassi per due volte dall’estate scorsa per un totale di 50 punti base (0,50%), portandoli al 7,75%. Per contro, adesso non ci si aspetta più alcuna ulteriore stretta monetaria moscovita, semmai persino l’ipotesi che il governatore Elvira Nabiullina allenti la politica monetaria nella seconda parte dell’anno, confortata da un surriscaldamento dei prezzi inferiore alle attese con il rialzo dell’IVA dal 18% al 20%, deciso dal governo dal gennaio scorso. L’inflazione è salita da meno del 4% di fine 2018 al 5,3% di marzo, meno del previsto. In sostanza, i tassi si starebbero rivelando sufficientemente alti per impedire una ulteriore lievitazione dei prezzi, attutita anche dal rafforzamento del cambio.

Del resto, il rublo si è rafforzato di quasi l’8% contro il dollaro quest’anno. E considerando che il Brent ha guadagnato circa il 40% rispetto ai minimi intorno ai 50 dollari al barile toccati a dicembre, possiamo affermare che il cambio russo sarebbe probabilmente destinato ad apprezzarsi ancora. La Russia è il secondo produttore mondiale di greggio; fino a qualche mese fa era primo, ma è stato scavalcato dall’America.

Il petrolio costituisce circa il 40% delle sue esportazioni, per cui le quotazioni internazionali impattano in un senso o nell’altro sulla sua economia. E oggi come oggi, un barile venduto fa introitare ai russi sui 4.500 rubli, più dei 3.900 incassati a metà del 2014, quando le quotazioni erano schizzate fino ai 115 dollari per il Brent e il cambio contro il dollaro risultava forte quasi il doppio rispetto ad oggi.

Condizioni macro favorevoli agli OFZ

Grazie anche al recupero delle quotazioni petrolifere, le casse statali stanno facendo festa, chiudendo con un attivo del 2,7% del pil nel 2018. Questa condizione fa il paio con il surplus della bilancia commerciale, che nel 2017 si è attestato al 7,3% del pil, pari a 120 miliardi di dollari. Pur non disponendo ancora dei dati completi per il 2018, immaginiamo che la tendenza positiva si sia semplicemente irrobustita nel 2018. Tutto questo, a fronte di un rapporto debito/pil di appena il 15%.

La Russia di Putin riprende la marcia del petrolio mai così redditizio

Riepilogando, i bond sovrani in rubli rendono la media dell’8% e sono titoli di un debito basso, emessi da un governo che sta spendendo meno di quanto incassi e aumentando le entrate per allentare la dipendenza dal petrolio. In più, esistono buone ragioni per credere che i tassi verranno tagliati nei prossimi mesi, a beneficio dei loro prezzi, così come che il cambio si rafforzerà ancora, aumentando i guadagni degli investitori esteri. Si capisce meglio perché dopo il “sell-off” da 500 miliardi di rubli dello scorso anno, seguito al potenziamento delle sanzioni USA contro la Russia e che avevano ridotto dall’apice del 34% di aprile al 25% di fine 2018 la quota di capitali esteri sul totale degli OFZ emessi e negoziati sui mercati, questa sia risalita al 30% al 31 marzo, pari a 6.000 miliardi di rubli (83 miliardi di euro).

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