Nei giorni scorsi, sul mercato obbligazionario si è accesa una spia rimasta ad oggi quasi ignorata dagli investitori e che non dovrebbe. United Airlines avrebbe voluto emettere bond a 3 e 5 anni per un controvalore totale di 2,25 miliardi di dollari, ma ha dovuto rinviare i suoi piani, non avendo ricevuto ordini sufficienti, con questi ultimi ad essersi fermati a quota 1,5 miliardi. Rispetto al 9% ipotizzato in fase di pre-emissione, gli investitori hanno preteso un rendimento dell’11% dopo il flop, costringendo la compagnia aerea americana a rinunciare al collocamento.

I capitali raccolti sarebbero serviti per ripagare un prestito contratto a marzo e per altre finalità generali.

La rinuncia si è resa doverosa, anche perché i tassi pagati sul prestito di marzo risultano decisamente inferiori a quelli che United avrebbe dovuto sborsare per le obbligazioni emesse. E l’aspetto ancora più grave della vicenda è che la mancata emissione fosse garantita da una flotta di 360 aerei. Pare che il mercato abbia nutrito dubbi persino sul reale valore commerciale di questi velivoli.

Il flop è arrivato inaspettato, perché in queste settimane la Federal Reserve ha sostenuto la liquidità sui mercati con interventi senza precedenti per dimensioni e velocità, iniettandovi 2.500 miliardi di dollari in meno di un mese e mezzo. Tutto questo non è bastato per spronare gli investitori a qualsiasi forma di rischio, dati i bassissimi rendimenti imperanti ormai anche sul mercato americano. Nessuno si fida del business dei cieli, forse in tanti saranno rimasti scioccati nell’apprendere che un guru della finanza mondiale come Warren Buffett abbia annunciato di avere disinvestito da tutte le compagnie aeree, spiegando di non vederci chiaro sul loro futuro.

Crisi epocale per le compagnie aeree tra posti a sedere alternati e costi in crescita

Bond United Airlines a picco

Quest’anno, le azioni United sono crollate del 73%, ma anche le sue obbligazioni stanno andando malissimo, con il bond in scadenza il 15 gennaio 2025 e cedola 4,125% (ISIN: US910047AK50) ad avere perso il 45% del loro valore di febbraio.

Il debito della compagnia è considerato “junk” o “spazzatura” da tutte le principali agenzie di rating: “Ba1” per Moody’s, “BB” per S&P e “BB-” per Fitch. All’inizio del mese, United disponeva di 9,6 miliardi di liquidità, lo stesso livello di cui dovrebbe risultare in possesso alla fine di questo trimestre secondo gli analisti, pur avendo goduto nel frattempo di quasi 4,5 miliardi dal governo americano, a seguito degli aiuti stanziati per le imprese colpite dall’emergenza Coronavirus.

La liquidità sarebbe sufficiente a far rimanere a galla l’attività per altri 7 mesi e mezzo, non tanti. E il rischio che una seconda ondata di contagi costringa i governi a imporre nuovi “lockdown”, associato alle prospettive fosche sulla ripresa della mobilità inter-nazionale e delle economie, rende particolarmente allarmante la situazione finanziaria prospettica delle compagnie aeree. Da qui, gli altissimi livelli di rendimento pretesi dal mercato per investire nel loro debito. Di fatto, il quinquennale sul secondario della United offre ormai oltre il 21%. Ne consegue che chi nel settore spera di approfittare degli interventi della Fed per rifinanziarsi e indebitarsi a tassi irrisori o, comunque, senza impattare negativamente la già debole condizione finanziaria, dovrebbe rifarsi i conti. Per quanta spazzatura il mercato sia disposto ad accollarsi pur di ottenere rendimenti accettabili, in pochi sembrano voler scommettere su comparti dell’economia che rischiano di pagare a lungo il Covid-19.

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