La BCE dovrebbe esplorare l’opzione di controllare i rendimenti lungo la curva delle scadenze, al fine di centrare più agevolmente il target d’inflazione. Parole e musica di Pablo Hernandez de Cos, governatore della banca centrale spagnola e membro del board di Francoforte. Secondo il banchiere, varrebbe la pena di sperimentare l’ipotesi, in quanto l’esperienza delle altre banche centrali porterebbe a concludere che essa richieda un minore ammontare di acquisti per tendere allo stesso obiettivo. Inoltre, ha ammesso che il tasso d’inflazione nell’Eurozona sia stato inferiore all’obiettivo “per un po’” e, pertanto, ha invitato a tollerare un’inflazione marginalmente più alta, “ad esempio, al 2%”.

Il target è fissato per statuto a “vicino, ma di poco inferiore al 2%”. E nell’unione monetaria non viene centrato stabilmente ormai dai primi mesi del lontano 2013.

Cosa significherebbe nel concreto il controllo della curva dei rendimenti? Banco del Giappone e Reserve Bank of Australia hanno già posto un tetto ai rendimenti alle scadenze “benchmark” dei rispettivi titoli di stato, con l’obiettivo dichiarato di indirizzare il mercato verso il rispetto di una certa inclinazione della curva. De Cos ha ammesso, tuttavia, che nell’Eurozona risulterebbe più complicato, in quanto la BCE avrebbe a che fare con ben 19 mercati sovrani, ergo 19 curve dei rendimenti diversi. Una possibile soluzione consisterebbe nel porre un tetto ai rendimenti della curva “risk free”, quale sarebbe la overnight index swap. Oppure, si potrebbe prendere come riferimento la curva tedesca, in quanto di fatto parametro per l’intera area, grazie al rating massimo di cui godono i Bund.

Il controllo della curva dei rendimenti è questione di tempo per BCE e Fed

Rischi dal controllo dei rendimenti

In ogni caso, il controllo della curva si mostra un esperimento rischioso per una qualsiasi banca centrale. Se i mercati iniziassero a sfidarla, questa si ritroverebbe a dover acquistare quantità illimitate di bond per centrare l’obiettivo.

Evidentemente, la BCE confiderebbe nell’efficacia della sua comunicazione. Tuttavia, non si capisce per quale motivo l’istituto sia preoccupato in questa fase del possibile rialzo dei rendimenti. Ciò presuppone l’attesa di un’imminente reflazione, a sua volta legata al rimbalzo del PIL. Al momento, i dati macro non segnalerebbero un tale scenario. A novembre, l’inflazione nell’area è stata negativa per il quarto mese consecutivo, attestandosi al -0,3%. I “lockdown” reimposti dai governi per frenare l’accelerazione dei contagi non spingono a intravedere come vicini la ripresa dell’economia e il surriscaldamento dei prezzi, né la fine dell’accomodamento monetario.

Il controllo della curva in una situazione attuale non avrebbe neppure implicazioni chiare per le misure di politica monetaria già varate dalla BCE. Se bastassero minori acquisti per stabilizzare i rendimenti “benchmark” ai livelli desiderati, cosa ne sarebbe dei fondi destinati che avanzerebbero? Verrebbero dirottati sugli altri bond dell’area, oppure finirebbero per essere risparmiati? Nel primo caso, la BCE si muoverebbe nei fatti per restringere gli spread, smentendo sé stessa; nel secondo, inietterebbe minore liquidità sui mercati, potenzialmente allontanandosi dal target d’inflazione, anziché tendervi. E sarebbe paradossale.

La BCE medita di rivedere la sua strategia sugli acquisti di corporate bond

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