Il discorso di Jerome Powell al simposio di Jackson Hole nel fine settimana scorso ha colto parzialmente di sorpresa i mercati. Che la Federal Reserve non avrebbe fatto marcia indietro sulla stretta monetaria era stato scontato, ma che i toni del governatore sarebbero stati decisamente da “falco” non era nell’aria. E così anche i T-bond hanno reagito nelle scorse ore. Il decennale americano è passato da un rendimento del 3,02% a oltre il 3,10%, mentre la scadenza a due anni è salita dal 3,37% fino al 3,44%.

La curva dei rendimenti rimane chiaramente invertita, segno che il mercato si aspetterebbe una recessione dell’economia americana. In genere, ciò accade a distanza di alcuni mesi da quando avviene l’inversione.

E le aspettative del mercato si sono riposizionate per scontare tassi USA ancora più alti di quelli previsti fino alla settimana scorsa. Adesso, stando ai dati di CME Group, principale società di derivati nel mondo, il costo del denaro negli USA salirebbe fino a un massimo del 4% entro quest’anno. Ciò implicherebbe un rialzo dei tassi dello 0,75% a settembre al 3,25%, nonché un altro 0,75% tra ottobre e dicembre.

Dai T-bond segnali di crisi?

Per i futures eurodollaro, entro la fine del prossimo anno vi sarebbe un solo taglio dei tassi e tre entro il 2024. Come interpretare tali dati? In teoria, il mercato immaginerebbe che la FED si mostrerà capace di combattere l’inflazione, riportandola al target del 2%. Per questo avrebbe un minimo spazio di manovra per tagliare i tassi da qui ai prossimi 15 mesi. Tuttavia, l’interpretazione più pessimistica sarebbe che il mercato starebbe scontando una recessione dell’economia americana in conseguenza proprio della stretta sui tassi di questi mesi. In altre parole, la lotta all’inflazione porterebbe alla contrazione dell’attività economica. Del resto, lo stesso Powell ha avvertito che la FED sia pronta a tollerare un tale effetto collaterale.

Ad ogni modo, dai dati non si evincerebbe ancora un pessimismo imperante circa le condizioni dell’economia americana nel medio termine. In effetti, la stessa forza del dollaro in questa fase tende a rimarcare come la FED disporrebbe di maggiori margini di manovra nel combattere l’inflazione rispetto alle altre principali banche centrali. Queste sono contrastate tra la necessità di contrastare il carovita e quella di tutelare economie in deterioramento.

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