Il crollo delle quotazioni petrolifere ha colpito tutti i paesi produttori, particolarmente quelli esportatori che derivano gran parte delle entrate valutarie dalla vendita della materia prima all’estero. Uno di questi è la Nigeria, che sta assistendo a un collasso pauroso delle sue già esigue entrate fiscali. Il governo aveva stimato per quest’anno che il greggio sarebbe stato venduto a 57 dollari, mentre è scivolato ai 20 dollari attuali per il Brent locale. Di conseguenza, dovrebbe rendere minori entrate per 26,5 miliardi (6% del pil), meno della metà dei 54,5 miliardi del 2019.

Colpita anche dal Coronavirus, ha ottenuto già un prestito da 3,5 miliardi dal Fondo Monetario Internazionale ed è in corsa per riceverne altri 3,4 miliardi da vari organismi sovranazionali, tra cui la Banca Mondiale.

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Malgrado questo quadro allarmante, i rendimenti sovrani sono diminuiti lungo la curva, con il decennale ad offrire poco meno dell’11%, quando a inizio anno si attestava all’11,50%. Il bond a 2 anni, invece, è passato nello stesso periodo dall’8,17% al 5,67%. Nel frattempo, l’inflazione è schizzata sopra il 12% e i tassi d’interesse sono rimasti al 13,50%, riducendosi in termini reali. Ciò ha incentivato le pressioni ribassiste sul cambio, tant’è che a marzo la banca centrale ha dovuto svalutare il naira del 15% contro il dollaro, anche perché le riserve valutarie si stanno assottigliando, scendendo a poco più di 33 miliardi, un livello non congruo per un’economia emergente da quasi 450 miliardi di dollari.

Rendimenti in dollari crescenti

A cadere sono stati i bond in dollari emessi da Abuja. Il titolo che scade nel gennaio 2021 e cedola 6,75% (ISIN: XS0584435142) ha perso il 5% rispetto ai livelli di gennaio, rendendo circa l’11%. Molto peggio è andata ai bond con scadenze più lunghe. Il quinquennale novembre 2025 e cedola 7,625% (ISIN: XS1910826996) è crollato del 25% e offre oggi un rendimento del 13,50%.

Il decennale 23 febbraio 2030 e cedola 7,143% (ISIN: XS1777972511) ha perso altrettanto, quotando sotto 78 centesimi, rendendo l’11,40%. Infine, il bond 16 febbraio 2032 e cedola 7,875% (ISIN: XS1566179039), deprezzatosi di quasi il 20% e che offre ora il 12,65%.

Per quanto allettanti appaiono, questi rendimenti non risultano capaci di compensare gli alti rischi. Non solo perché le agenzie di rating valutano i bond emessi dalla Nigeria molto male (“B” per S&P, “B2” per Moody’s e “B” per Fitch), ma anche perché il cambio fisso tende ad impattare negativamente sulle riserve valutarie, deprimendole nelle fasi di crisi delle quotazioni del greggio. Ma se queste si assottigliano troppo, non ci sarebbero più dollari a sufficienza per onorare i debiti con l’estero. Prima di arrivare a tanto, però, probabile che la banca centrale lasci fluttuare liberamente il naira, come fece la Russia con il rublo nel novembre 2014 per fronteggiare la crisi petrolifera. Ciò innescherebbe un inevitabile circolo vizioso tra svalutazione e inflazione, colpendo in quel caso le obbligazioni in valuta locale. Per il momento, tale opzione sembra esclusa, come segnala il collasso dei prezzi dei bond in dollari e il rialzo di quelli in naira.

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