Si chiamano Gilt, che in inglese significa letteralmente “doratura”. Sono i titoli di stato emessi per conto di Sua Maestà, oggi Carlo III, e dovrebbero il nome al fatto che in passato fossero distribuiti agli obbligazionisti in carta dorata a sancirne l’estrema “preziosità”. Secondo le agenzie di rating internazionali, la loro affidabilità sui mercati finanziari sarebbe elevata, pur non massima. I giudizi sono AA per S&P, AA- per Fitch e Aa3 per Moody’s. Rispettivamente il terzo e quarto gradino delle rispettive scale di valore.

Non siamo ai livelli della tripla A per i Bund emessi in Germania, ma certamente ben sopra i giudizi BBB/BBB/Baa3 per i nostri BTp. Basterebbe che Moody’s abbassasse il nostro rating di un solo gradino per scaraventarsi nell’area “junk” o “spazzatura”.

Spread negativo per BTp

Dovremmo aspettarci, quindi, che i Gilt offrissero rendimenti più bassi dei titoli di stato italiani lungo la curva delle scadenze. E’ esattamente il contrario, invece. Prendiamo il BTp a 10 anni. Rende attualmente intorno al 4,15% contro il 4,45% dell’omologo inglese (+30 punti base). Se ci concentriamo sulle scadenze più corte, lo spread si allarga a favore dell’Italia. Sui 12 mesi abbiamo il 3,85% contro il 5,35% (+150). Sui 6 mesi arriviamo al massimo differenziale con il BoT al 3,65% e il Gilt al 5,85% (+215).

Come mai accade quello che a prima vista sembrerebbe un controsenso? Titoli di stato teoricamente più rischiosi (BTp) dovrebbero rendere di più degli altri meno rischiosi (Gilt). Questo vale quando i due bond sono espressi nella stessa valuta. Invece, i titoli di stato italiani sono emessi in euro, mentre quelli di Sua Maestà in sterline. I più alti rendimenti dei secondi segnalano un rischio di cambio a carico proprio della sterlina contro l’euro. In altre parole, il mercato starebbe scontando un suo indebolimento.

Gilt scontano inflazione e tassi più alti

Non è tutto.

Ad esempio, se ci spostiamo sul tratto ultra-lungo delle curve, notiamo che il BTp a 30 anni rende neppure lo 0,05% in meno del Gilt di pari durata. E sui 50 è proprio il BTp ad offrire circa lo 0,20% in più. Questo si deve alle aspettative d’inflazione e sui tassi di interesse. Nel Regno Unito a maggio la crescita dei prezzi al consumo era ancora dell’8,7% annuale. A giugno, nell’Eurozona era scesa al 5,5%. La Banca d’Inghilterra ha dovuto alzare i tassi al 5% e secondo gli analisti si potrebbe avventurare persino sopra il 6%. La Banca Centrale Europea non andrebbe nel caso più estremo sopra il 4,50%.

Poiché le scadenze più corte risentono delle condizioni monetarie, ha perfettamente senso che i Gilt a breve offrano rendimenti ben maggiori dei bond italiani. Così come ha perfettamente senso che tale spread tenda ad azzerarsi fino a diventare negativo per le scadenze lunghissime. La convenienza dell’investitore italiano nell’inserire in portafoglio titoli di stato emessi da Londra rischia di rivelarsi vana se quel rischio di cambio atteso si concretizzasse. Viceversa, sarebbe un affare.

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