L’inflazione negli USA è salita al 6,8% nel mese di novembre, mai così alta dal 1982. Il dato è parso in linea con le previsioni, ma ciò non toglie che sia risultato il maggiore degli ultimi quasi 40 anni. Per contro, il rendimento reale del Treasury a 10 anni non è stato mai così basso. Quello nominale viaggia sotto l’1,50%, per cui, tolta l’inflazione, sprofondiamo a un pesante -5,3%. Solo in altre due occasioni si era avvicinato a tale livello: a metà anni Novanta e all’inizio degli anni Ottanta.

Per rendervi un’idea della peculiarità storica in cui ci troviamo, dovete pensare che nel corso della crisi finanziaria mondiale del 2008-’09, il rendimento americano in termini reali non toccò neppure il 2% al suo minimo. E prima della pandemia, oscillava intorno allo zero. Il crollo è dovuto alla politica monetaria ultra-espansiva di tutte le principali banche centrali, con la Federal Reserve a tenere ancora i tassi a zero e ad acquistare proprio Treasuries e bond garantiti da ipoteca immobiliare, pur in misura decrescente dal mese di novembre.

Un rendimento americano reale così negativo implica la perdita del capitale a ritmi velocissimi. Supponendo che l’inflazione rimanesse ai livelli attuali fino alla scadenza del titolo, chi acquistasse oggi il Treasury a 10 anni avrà “bruciato” oltre la metà dell’investimento nel 2031. A fronte dell’1,5% scarso offerto, infatti, la perdita del potere d’acquisto sarebbe ben maggiore.

Non solo rendimento americano reale sottozero

Rendimenti reali negativi non sono una prerogativa del mercato americano. Anzi, nell’Eurozona va persino peggio. In Germania ad essere negativi sono persino i rendimenti nominali. Il Bund a 10 anni offre oggi -0,35%, che si aggiunge al 6% dell’inflazione di novembre per il dato tedesco armonizzato. In pratica, una perdita del 6,35% all’anno e quasi i due terzi del capitale in fumo entro la scadenza. In Italia va un po’ meglio, ma non troppo.

Il decennale viaggia intorno all’1% e l’inflazione al 4%. Rendimento reale -3% e quasi un terzo del capitale “bruciato” entro la scadenza.

C’è da dire che gli obbligazionisti starebbero accettando le spiegazioni delle banche centrali, secondo cui l’inflazione di questi mesi sarebbe “temporanea” e frutto della pandemia. Vero è anche, poi, che molti acquisti tendono a speculare sul fattore cambio. Chi dall’Eurozona si reca negli USA per inserire Treasuries in portafoglio, punta anche, se non soprattutto, sul rafforzamento del dollaro contro l’euro per ottenere un rendimento effettivo superiore a quanto suggerito dal dato nominale. E viceversa. Ma i livelli reali sono diventati così bassi, che neppure queste strategie ormai convincono più di tanto.

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