Già da settimane era stato annunciato il clamoroso ritorno delle emissioni di Treasuries con scadenza iniziale di 20 anni, una novità per il mercato obbligazionario sovrano americano dopo lo stop del 1986. Adesso, arrivano alcuni dettagli dal Tesoro USA. Le emissioni avverranno con cadenza trimestrale e nei mesi di febbraio, maggio, agosto e novembre, vale a dire a metà di ciascun trimestre. Il debutto dovrebbe avvenire proprio a maggio. Le emissioni saranno tenute la settimana successiva a quelle dei Treasuries a 10 e 30 anni e in concomitanza con quelle relative ai Treasury Inflation-Protected Securities, i titoli con cedola legata all’inflazione.

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Quanto alla loro entità, il mercato si attende che la prima emissione sia di 10-13 miliardi e le successive di 8-11 miliardi di dollari. Nei giorni scorsi, alcuni analisti si erano sbilanciati fino a prevedere emissioni da 35 miliardi. A quanto pare, però, il Tesoro vorrebbe riesumare l’offerta di questa scadenza entrandovi in punta di piedi, anche perché non vi sono particolari esigenze di raccolta dei capitali, pur essendo stato il deficit pubblico superiore a 1.000 miliardi di dollari nel 2019, livello sopra il quale rimarrebbe fino al 2030, stando alle previsioni del Congressional Budget Office. In media, entro il prossimo decennio il deficit si attesterebbe sempre sopra il 4%, al 4,3%.

Detto ciò, può sembrare paradossale che il mercato nutra il timore di non trovare sufficienti Treasuries da comprare. In effetti, preoccupano gli acquisti realizzati dalla Federal Reserve, i quali sottraggono agli investitori privati il flottante disponibile. Un guaio per gli istituzionali, in particolare, sempre a caccia di assets sicuri da mettere in portafoglio. Per questo, gli analisti ritengono che il Tesoro non taglierà le cedole nel corso delle prossime emissioni di quest’anno. Lo strategist di Wells Fargo & Co, Mike Schumacher, spiega che non avrebbe senso tagliarle “per poi rialzarle dopo 6-12 mesi”.

Cedole stabili o saranno tagliate?

Attualmente, il Treasury a 5 anni offre un rendimento dell’1,48% e cedola 1,375%. Il decennale viaggia all’1,65%, recando cedola dell’1,75%. E il trentennale con cedola 2,375% rende oggi il 2,13%, ma nei giorni scorsi era arrivato a scendere sotto il 2%, nei pressi dei minimi storici toccati nei mesi scorsi. Dunque, sulle scadenze medio-lunghe il Tesoro si potrebbe permettere di limare i tassi. Tuttavia, non lo farebbe proprio per non trovarsi costretto a rialzarle tra un anno o anche meno, nel caso in cui la Fed dovesse tornare ad alzare a sua volta i tassi, restringendo le condizioni monetarie negli USA.

Cedole più alte dei rendimenti attirano tipicamente una domanda elevata e formano prezzi sopra la pari, consentendo all’emittente di incassare liquidità maggiore del valore nominale dei titoli collocati sul mercato. In questo modo, ridurrebbe la quantità dei titoli offerti con le emissioni successive. Viceversa, se le cedole venissero tagliate, la domanda si terrebbe bassa, i prezzi sarebbero intorno alla pari e le emissioni successive diverrebbero un po’ più copiose. In teoria, questo secondo scenario verrebbe gradito maggiormente dagli investitori, poiché ridurrebbe il rischio di una carenza di Treasuries rispetto alla domanda.

Eppure, il fatto che le cedole verosimilmente resteranno le stesse di oggi implica probabilità non così basse di una stretta monetaria dopo le elezioni presidenziali. La stessa Fed lo prevede con i suoi “dot plots”, ma fino ad oggi stiamo supponendo che sia probabile anche che accada l’opposto, considerando che l’economia americana prima o poi entri in recessione dopo già undici anni di crescita ininterrotta. Il segnale che arriverebbe (informalmente) dal Tesoro andrebbe più verso la prima ipotesi, segno che lo stesso governo americano creda più a una stretta e non al verificarsi nel breve termine di una contrazione economica.

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