Stamane, il Tesoro ha collocato sul mercato il nuovo BTp a 30 anni per il quale ha ricevuto ordini elevati. Ha potuto raccogliere capitali freschi ad un rendimento intorno al 4,50%. Se da un lato il costo di emissione può considerarsi elevato, dall’altro per i conti pubblici è un affare. Infatti, sempre oggi il BTp a 10 anni viaggia a un rendimento sul mercato in area 4,35%. Questo significa che per un costo leggermente superiore, il governo ha potuto rifinanziarsi sui mercati per un periodo di tempo di venti anni più lungo.

E’ l’effetto dell’appiattimento della curva dei titoli di stato. I rendimenti dei BTp con scadenze lunghe si sono avvicinate a quelli offerti dai BTp più corti.

Il debito pubblico italiano alla fine del 2022 presentava una durata media ponderata di 7,7 anni. Prendiamo come riferimento proprio la scadenza a 7 anni. Oggi, rende lo 0,40% in meno della scadenza a 30 anni in circolazione (BTp 2052). Un anno fa, la distanza tra le due era dell’1%. E all’inizio del 2022, era dell’1,40%. Cos’è successo? Quando l’inflazione italiana, così come nel resto dell’Area Euro, stava salendo a ritmi mai visti negli ultimi quaranta anni, il mercato pretendeva rendimenti sempre più alti sulle scadenze lunghe. Poi, la Banca Centrale Europea (BCE) ha iniziato ad alzare i tassi d’interesse. Li ha portati in sette mesi da zero al 3%. Ciò è bastato per “raffreddare” le aspettative d’inflazione entro limiti rassicuranti.

Curva titoli di stato piatta opportunità per debito pubblico

La stretta monetaria ha reso la curva dei titoli di stato più piatta. Poiché le aspettative d’inflazione sono rimaste ancorate al target BCE del 2%, i rendimenti sul tratto lungo hanno smesso di salire. Invece, il tratto breve della curva riflette maggiormente le condizioni monetarie e qui i rendimenti continuano a lievitare. Questo appiattimento della curva rende relativamente conveniente per lo stato puntare sui BTp di maggiore durata.

Si spende qualcosa in più all’anno, ma a fronte di un indebitamento molto più lungo. D’altra parte, c’è il rischio di “cristallizzare” i costi ai livelli alti di questa fase per decenni. Un rischio a cui si può porre rimedio in futuro con eventuali operazioni di riacquisto del debito (a sconto) sul mercato, finanziandole con nuove emissioni meno costose.

L’allungamento della durata del debito pubblico rappresenta anche un segnale positivo inviato agli investitori. Una cosa sarebbe che uno stato fosse esposto perlopiù nei successivi 6-7 anni, un’altra che avesse scadenze molto lontane nel tempo. Il rischio sovrano percepito si ridurrebbe e con esso lo spread preteso dal mercato. In genere, però, queste operazioni si compiono quando i rendimenti sono molto bassi. Basti pensare al Regno Unito dopo la crisi finanziaria mondiale del 2008. L’Italia, invece, ha sfruttato gli anni iper-favorevoli per abbattere la spesa per interessi, anziché per allungare la vita al debito, rimasta sostanzialmente invariata rispetto ai livelli pre-crisi dopo essere scesa per alcuni anni. La curva dei titoli di stato piatta potrebbe cambiare qualcosa.

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