Al board del 14 settembre prossimo la Banca Centrale Europea (BCE) probabilmente continuerà ad alzare i tassi di interesse di un ulteriore 0,25%. Ed esistono elevate probabilità che si tratti dell’ultima stretta monetaria della serie iniziata nel luglio dello scorso anno. A meno di sorprese positive sul fronte dell’inflazione nell’Eurozona ad agosto, l’agognata pausa da parte di alcuni governi per Francoforte non ci sarebbe. Nel frattempo, basta dare un’occhiata ai titoli di stato italiani e nel resto dell’area per capire come il mercato si stia posizionando da tempo.

Se prendiamo il BoT a 6 mesi come riferimento per le scadenze corte e il BTp a 50 anni per quelle ultra-lunghe, otteniamo una differenza di rendimento di appena mezzo punto percentuale.

Curva scadenze piatta

Mentre scriviamo, il BoT semestrale offre il 3,83% e il BTp 2072 il 4,33%. L’appeal delle scadenze più longeve si riduce, dato che possiamo ottenere rendimenti sostanzialmente simili investendo sui titoli di stato di durata molto più breve. Il punto è che questa condizione di mercato non sarà cristallizzata nel tempo. Ad esempio, già tra sei mesi, quando scadrà il BoT, non sappiamo se riusciremo a reinvestire il nostro capitale agli stessi rendimenti.

Prima che iniziasse la stretta monetaria della BCE, la curva dei titoli di stato italiani era assai più ripida. Ad inizio 2022, il BoT a 6 mesi rendeva -0,67% e il BTp 2072 sfiorava il 2,40%. La differenza tra le due estremità della curva superava il 3%, oltre sei volte più di oggi. Cos’è accaduto nel frattempo? Il costo del denaro è rincarato, passando da 0 al 4,25%. Sui depositi bancari è salito da -0,50% a +3,75%. Le scadenze brevi riflettono l’andamento dei tassi, mentre le scadenze lunghe le aspettative d’inflazione.

Titoli di stato tra inflazione e tassi

Man mano che la BCE ha alzato i tassi e la crisi dell’energia è rientrata, le aspettative d’inflazione sono andate scemando.

Dunque, i rendimenti a lungo termine sono rientrati dai massimi. Quelli a breve hanno continuato a salire, seguendo i tassi. Questa situazione, tuttavia, starebbe ormai stabilizzandosi. Prendendo come riferimento il mercato sovrano tedesco, un “benchmark” per l’Eurozona, ci accorgiamo che il Bund a 2 anni supera di poco il 3% ed è tornato ai livelli di rendimento di metà giugno, quando i tassi sui depositi bancari erano al 3,50%. A luglio, poi, avevano superato il 3,35%.

Il segnale sarebbe chiaro. Poiché il Bund biennale segue l’andamento dei tassi sui depositi bancari, sembra che i titoli di stato tedeschi stiano scontando tassi di interesse medi per il medio termine meno elevati. In conclusione, il mercato pensa che a settembre o entro fine anno ci sarà anche un altro aumento dei tassi, ma che esso sarebbe l’ultimo.

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