La lira turca si sta riprendendo nelle ultime sedute dopo essere collassata contro il dollaro nei pressi dei minimi storici toccati a novembre. Ma il tonfo resta pesante: -11,5% dal 19 marzo scorso, giorno in cui il presidente Erdogan licenziava il terzo governatore della banca centrale dal luglio 2019. Nel frattempo, ad avere accusato ingenti perdite sono stati anche i bond sovrani, come segnala il boom dei rendimenti. La scadenza a 2 anni è schizzata dal 15,75% al 19,19%, mentre quella a 10 anni dal 13,60% al 18,93%.

Da questi dati, si evince come sia stato maggiormente colpito il tratto lungo della curva.

In effetti, il rendimento decennale è lievitato di oltre 530 punti base, mentre quello biennale se l’è cavata, per così dire, con un +345. La conseguenza di questa diversa entità delle perdite risiede nell’appiattimento della curva. Prima del licenziamento, lo spread 10/2 anni si attestava a -185 punti, mentre ieri crollava a -26. Dunque, la curva era profondamente invertita prima e man mano sta diventando più ripida. Come mai?

Bond Turchia senza appeal persino con rendimenti al 20%, ecco perché

Boom dell’inflazione e degli acquisti di Bitcoin

Il tratto medio-lungo di una curva delle scadenze sconta principalmente le aspettative d’inflazione, mentre quello medio-breve risente più direttamente della politica monetaria. Con l’arrivo di Sahap Kavcioglu alla guida della banca centrale, il mercato si attende un allentamento monetario, cioè tagli dei tassi più veloci di quanto non richiederebbero le condizioni macro. Per quanto il diretto interessato abbia smentito una tale automaticità già al board di aprile, arrestando almeno per un po’ l’indebolimento del cambio, la direzione è segnata. Questo significa anche che l’inflazione turca tendenzialmente è attesa oggi più alta di un paio di settimane fa, in quanto non contrastata efficacemente dall’istituto.

Al contrario, il livello medio dei tassi nei prossimi mesi risulterebbe più basso e ciò induce il mercato a vendere le scadenze più brevi meno intensamente di quelle a lungo.

Pensate che la crisi di fiducia verso la lira e la stabilità dei prezzi è così bassa, che da inizio febbraio fino al 24 marzo scorso, le compravendite di “criptovalute” in Turchia sono esplose a 218 miliardi di lire (circa 22,5 miliardi di euro), quando nello stesso periodo dello scorso anno erano state di appena 7 miliardi, 30 volte meno. Certo, nel frattempo l’interesse verso i Bitcoin è schizzato ovunque nel mondo per via dei record messi a segno dai prezzi di mese in mese, se non di settimana in settimana. Ma sembra acclarato che i turchi non vogliano accantonare i loro risparmi in valuta locale, consapevoli che verrebbero presto divorati dall’inflazione, salita al 15,6% a febbraio.

Investire in bond della Turchia senza correre il rischio di cambio diventa più economico e redditizio

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