La tempesta finanziaria che questa settimana sta travolgendo la Turchia non si è sopita. Ieri, la lira turca si è indebolita ulteriormente contro l’euro, portandosi sostanzialmente a ridosso della soglia di 8. Aveva chiuso a 7,22 venerdì scorso. Un tracollo brutale che non ha risparmiato il comparto obbligazionario. I rendimenti a 10 anni si sono impennati in area 18,20%, quelli a 2 anni al 19,45%. Il mercato sconta una crescita dell’inflazione ancora maggiore e nuove tensioni sul cambio.

Va da sé che investire sul mercato obbligazionario turco sia diventato in pochi giorni molto più economico, tra quotazioni nettamente inferiori e lira in crollo verticale contro valute come l’euro.

Tuttavia, in pochi stanno avendo voglia di tornare a scommettere su Ankara, per quanto ieri Deutsche Bank abbia espresso la convinzione che i bond turchi adesso offrano “premi al rischio decenti”.

Bond Turchia, il crollo verticale delle quotazioni è un’occasione di acquisto?

Bond turchi in euro, prezzi in caduta

Sappiamo che la Turchia ricorre con frequenza al mercato dei capitali internazionale. E lo fa anche con emissione di bond in euro, oltre che in dollari e altre valute forti. Un esempio ce lo offre la scadenza 16 febbraio 2026 e cedola 5,20% (ISIN: XS1909184753). Prima del “panic selling”, il titolo prezzava in area 108. Ieri, pur in lieve risalita sopra la pari, si attestava a 100,255. Questo significa che fino a una settimana fa per comprare 10.000 euro di bond nominali bisognava spenderne 10.800, mentre ormai ne bastano sui 10.025 euro.

Quanto al rendimento, siamo passati in pochissimi giorni dal 3,30% al 5,14%. Si consideri che sulla medesima scadenza, un BTp offre oggi circa il -0,06% dallo 0,03% di una settimana fa. E dire che si tratti del mercato più generoso nell’Eurozona, assieme a quello greco. Ebbene, il premio offertoci dalla Turchia si è impennato da 326 a 520 punti base. In sostanza, se vogliamo investire sul debito anatolico, anziché su quello tricolore, otteniamo un maggiore rendimento di oltre il 5% all’anno, circa il +26% nel quinquennio.

E zero rischio di cambio, naturalmente. Ma poiché i pasti gratis non esistono, qual è il trucco? Il rischio di credito elevato. La Turchia è un emittente “junk” e per quanto non corriamo il pericolo di vederci restituire un capitale svalutato a causa delle variazioni del cambio, il punto è che nel caso in cui la lira continuasse a collassare contro le divise forti, il debito estero per Ankara diverrebbe sempre meno sostenibile. Esso graverebbe in misura sempre maggiore sulle riserve valutarie, già oggi duramente compresse dalla fuga dei capitali degli ultimi anni. Solo nel 2020, la banca centrale avrebbe speso 100 miliardi di dollari per difendere il cambio e cercare per tale via di contenere l’inflazione. E senza sufficienti riserve, non ci sarebbe valuta per provvedere ai pagamenti delle esposizioni con l’estero, altissime anche nel settore privato.

Turchia a rischio collasso finanziario

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