Argentina nel caos. Dopo le elezioni primarie dell’11 agosto, in cui Fernandez ha ottenuto un sostegno del 47% contro il 32% dell’attuale presidente Macri, con un divario di 15 punti percentuali, si è registrata una forte pressione al ribasso sui mercati del Paese. Investitori e risparmiatori temono infatti che il ritorno dei peronisti al potere possa spalancare nuovamente le porte del Paese a un default sul debito estero.

Come noto, nel giro di tre giorni, i prezzi medi dei bond sovrani in dollari ed euro sono scesi del 40%, il peso si è deprezzato di circa il 30% e l’indice azionario di Merval alla borsa di Buenos Aires è sceso del 48%.

I rendimenti medi dei titoli di stato sono quindi schizzati verso l’alto sfiorando il 20% di rendimento, mentre le agenzie di rating non hanno perso tempo a tagliare il giudizio sul Paese sudamericano.  Fitch ha portato il rating dell’Argentina da B a CCC, mentre Standard & Poor’s lo ha abbassato a B-, entrambe con outlook negativo.

CDS a 5 anni Argentina sui massimi

Quello che più preoccupa è lo spread fra bond argentini e Treasuries USA che si è impennato fino a 730 bp e che i CDS a cinque anni (credit default swap) dell’Argentina sono schizzati a quota 2840 evidenziando una probabilità del 47% del Paese di finire in default entro il 2024. Del resto, la proporzione tra debito pubblico e prodotto interno lordo è oggi al 80% (includendo i prestiti del FMI), in considerevole aumento rispetto al 2015 (53,3%), quando Macrì salì al potere. Cifre che fanno dell’Argentina lo Stato più indebitato dell’area latinoamericana e caraibica prima di Brasile, El Salvador e Costa Rica. Al 77,4% si arriva, tuttavia, includendo solo la prima tranche di prestito del Fondo monetario internazionale, quella da 15 miliardi di dollari del luglio 2018.

Rimbalzo in vista?

Tuttavia “ci sono alcuni fattori che ci fanno ritenere che i prezzi attuali siano troppo bassi e ci sia quindi spazio per un rimbalzo“, commenta Koon Chow, di Union Bancaire Privée (UBP).

Il basso prezzo attuale riflette probabilmente i timori di una ripetizione dei tassi di recupero del 28% registrati nel 2005, ma noi riteniamo che tale ristrutturazione non sia un buon punto di riferimento perché l’esito è stato un decennio di isolamento economico e finanziario impopolare a livello dell’opinione pubblica. Inoltre, le dichiarazioni di Fernandez e dei suoi consiglieri economici indicano la volontà di continuare a lavorare con l’Fmi, anche se con una politica fiscale meno austera e tassi di interesse più bassi“, prosegue Chow. Infine, “Fernandez ha probabilmente interesse a calmare i mercati, nel caso in cui ulteriori cali dei prezzi dovessero spaventare i suoi sostenitori o galvanizzare gli argentini moderati a sostegno di Macri“, conclude l’esperto.

Banca Centrale sostiene il peso

Ciò nonostante, occorrerà innanzitutto aspettare l’esito delle elezioni generali di ottobre, prima di capire quale direzione prenderà l’Argentina, anche se l’esito appare ormai segnato vista la distanza che separa Macrì da Fernandez. Nel frattempo la Banca Centrale si sta adoperando per sostenere il peso evitando il tracollo della valuta anche a seguito della fuga di capitali che si è innescata dopo il risultato pre elettorale. A breve, poi, il FMI dovrebbe concedere una ulteriore tranches di prestiti concordati. Detto questo – sostengono gli esperti – anche se i peronisti dovessero tornare al potere non si ritroverebbero una situazione facile da gestire dal punto di vista finanziario.

Default o ristrutturazione?

Nel 2020 l’Argentina dovrà rimborsare prestiti per circa 160 miliardi di dollari e – secondo Bofa Merrill Lynch – il paese potrebbe non riuscire a farcela rischiando di andare in default. Un eventuale recovery dei titoli di stato potrebbe quindi attestarsi a meno di 40 centesimi di dollaro. Diversamente sarà necessario rinegoziare i programmi con il FMI per sostenere il debito e attuare politiche fiscali impopolari che permetterebbero all’Argentina di stare a galla tentando di rinegoziare gran parte del debito pubblico con i creditori internazionali senza dichiarare insolvenza.