Il Giappone è al centro delle cronache finanziarie in questi giorni. Ieri, lo yen è sceso contro il dollaro ai minimi da venti anni. E oggi la banca centrale ha annunciato che acquisterà bond sovrani a 10 anni in misura illimitata per quattro sessioni consecutive. Per capire cosa stia succedendo, dobbiamo fare un passo indietro a circa un quarto di secolo fa. E’ dalla seconda metà degli anni Novanta che l’economia nipponica soffre di una deflazione strisciante. Volete un esempio? Dal 1997 ad oggi, l’indice dei prezzi al consumo è salito di neppure il 3%.

Praticamente, i consumatori beneficiano di un potere d’acquisto intatto di decennio in decennio. E fino al 2013, prima della cosiddetta “Abenomics”, tale indice risultava sceso del 6%.

La cronica sindrome giapponese

E già da inizio anni Novanta, l’economia domestica non cresce. Tant’è che il Nikkei-225 non ha ancora riacciuffato i livelli toccati a fine anni Ottanta. Per combattere questo mix tra stagnazione e deflazione, la Banca del Giappone oltre una ventina di anni fa inaugurò il primo piano al mondo di acquisti dei bond sovrani. Tale piano fu ripreso e potenziato nel 2013 dall’attuale governatore Haruhiko Kuroda, in simbiosi con il piano economico presentato dal premier Shinzo Abe.

Nel settembre del 2016, Kuroda annunciò il passaggio dal “quantitative” al “qualitative” easing. In altre parole, l’istituto avrebbe acquistato titoli di stato non più in misura prestabilita, ma in base all’obiettivo da centrare, vale a dire il mantenimento del rendimento a 10 anni intorno allo 0% e mai sopra 0,25%. E in questi giorni, il bond decennale di Tokyo è salito ai massimi della soglia consentita, mentre il cambio collassava ai minimi da due decenni a questa parte. Ecco che Kuroda ha dovuto confermare l’impegno di acquisti illimitati, pur di non consentire al rendimento decennale di salire sopra la soglia massima consentita.

Bond Giappone e yen giù

Perché questa ostinazione? A differenza di quasi tutte le principali economie mondiali, il Giappone non ha ancora problemi d’inflazione.

Questa a febbraio era salita solo allo 0,9%, meno della metà del target del 2%. Se i rendimenti sovrani salissero troppo, molti capitali affluirebbero nel Sol Levante e rafforzerebbe lo yen. Un cambio forte, però, finirebbe per ridurre l’inflazione, anziché farla salire. Il costo dei beni importati, infatti, si ridurrebbe. Va detto, però, che sia la banca centrale che il ministro delle Finanze, Shuniki Suzuki, hanno lanciato l’allarme circa l’impatto negativo che uno yen troppo debole avrebbe sui bilanci aziendali, potenzialmente superiore ai benefici.

Attenzione a pensare che il Giappone abbia paura che una risalita dei rendimenti dei bond possa impattare sulla sostenibilità del suo debito pubblico, al 257% del PIL a fine 2021. Malgrado il suo enorme peso, infatti, la posizione finanziaria netta del paese risulta positiva per oltre il 60% del PIL. Ciò significa che il mercato nipponico dispone di capitali in abbondanza per poter finanziare il debito domestico. Resta il fatto che un quarto di secolo di acquisti dei bond non sia riuscito a garantire né un’accelerazione dei tassi di crescita, né dell’inflazione.

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