E’ un buon momento per i titoli di stato sui mercati internazionali. Dopo un primo semestre da dimenticare, i rendimenti sono tornati in calo. I prezzi dei bond sono già risaliti in misura imponente, anche considerato lo scarso tempo in cui tali movimenti rialzisti sono avvenuti. Prendete come esempio il Bund a 10 anni, benchmark per eccellenza nell’Eurozona. Era sopra 1,75% a giugno, mentre venerdì scorso stava poco sopra 0,80%. Nel giro di un mese e mezzo, il rendimento decennale tedesco si è più che dimezzato.

Certo, se pensiamo che all’inizio dell’anno stava ancora sottozero, il trend rimane negativo allungando l’orizzonte temporale. Ma non potrebbe essere diversamente. L’inflazione in Germania è schizzata fin quasi l’8%. I rendimenti sovrani dovevano necessariamente salire per scontare il “surriscaldamento” delle aspettative.

Bund a 10 anni tra inflazione e crisi energetica

Il ripiegamento da giugno, invece, riguarda il timore crescente che l’economia tedesca vada in recessione. Nel secondo trimestre, il PIL della Germania è rimasto invariato sui tre mesi precedenti, crescendo di appena l’1,5% su base annua. La crisi energetica sta mettendo in ginocchio la manifattura teutonica. Il Bund a 10 anni sta apprezzandosi nuovamente sulla corsa dei capitali verso i “safe asset”, nonché sull’indebolimento delle aspettative d’inflazione legate alla temuta crisi.

Molti di voi osserveranno che il Bund a 10 anni stia mostrando un trend simile allo spread con i titoli di stato italiani. In effetti, quest’ultimo è sceso dai 250 punti a cui era arrivato a giugno ai poco più di 210 di venerdì. C’è da dire, però, che nel frattempo a spegnere l’incendio sul mercato italiano ci pensa la BCE, che tra giugno e luglio ha acquistato BTp per 9,8 miliardi di euro, vendendo titoli tedeschi per 14,3 miliardi.

Impatto sullo spread

In realtà, il fenomeno potrebbe risultare un po’ più complesso da spiegare. Se il rendimento del Bund a 10 anni scende, a parità di spread arretra anche quello del decennale italiano.

E questo fatto segnala ai mercati che il debito pubblico dell’Italia diventa un po’ più sostenibile. A sua volta, questa convinzione riduce il rischio sovrano percepito, abbassando lo spread. In un certo senso, stiamo supponendo che l’andamento del Bund a 10 anni non sarebbe neutrale per i BTp. Anche perché bassi rendimenti tedeschi sarebbero la spia di timori recessivi in vista, i quali con il tempo si riflettono in una politica monetaria della BCE meno restrittiva.

In conclusione, il Bund a 10 anni è sì un segnale per l’andamento dell’intero mercato sovrano nell’Eurozona, ma tende ad interferire con gli spread. Ad esempio, se s’impennasse al 2% sull’accelerazione dell’inflazione, il BTp a 10 anni salirebbe sopra il 4%, a parità di spread. Il mercato fiuterebbe l’accresciuto rischio sovrano a carico dell’Italia per via della maggiore spesa per interessi. Di conseguenza, lo stesso spread si allargherebbe con ogni probabilità, anche in considerazione di una BCE più combattiva contro l’inflazione.

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