Quello di giovedì sarà il penultimo board della BCE presieduto dal governatore uscente Mario Draghi, il quale sarà succeduto da inizio novembre dalla francese Christine Lagarde, attuale direttore generale del Fondo Monetario Internazionale. Prima di andare via, l’italiano sta lasciando in eredità una politica monetaria estremamente accomodante, considerata indispensabile per sostenere le aspettative d’inflazione e la ripresa dell’Eurozona. Il mercato obbligazionario ha corso parecchio negli ultimi mesi sulle attese di nuovi stimoli da parte di Francoforte. A giugno, da Sintra (Portogallo), Draghi lasciò intravedere nuovi tagli dei tassi e da allora il rally dei bond sovrani e corporate nell’area si è semplicemente rafforzato, coinvolgendo la stessa periferia, tra cui Italia e Grecia.

Adesso, nel mondo sono 17.000 miliardi di dollari le obbligazioni ad esibire rendimenti negativi, circa un terzo del totale. Il fenomeno non riguarda solamente l’Eurozona, ma anche gran parte del resto d’Europa, tra cui Svizzera, Danimarca e Svezia, così come il Giappone. L’allentamento monetario non è un’esclusiva della BCE, ma sta riguardando un po’ tutte le grandi banche centrali e si auto-alimenta. La stessa Federal Reserve ha iniziato a tagliare i tassi a luglio e con ogni probabilità lo farà anche a settembre. Poiché queste manovre hanno effetti deprimenti sui tassi di cambio e non volendo nessuna banca centrale rafforzare la propria valuta per evitare di importare deflazione, di fatto il taglio dei tassi e/o l’erogazione di nuovi stimoli da parte dell’una finisce per spingere l’altra a seguire.

Ora, il mercato obbligazionario ha già scontato per l’Eurozona grosso modo il varo di nuovi stimoli. Il rischio, pertanto, consiste in una brusca inversione di tendenza dei titoli, una volta che si conosceranno i dettagli delle misure espansive e, in particolare, nel caso in cui queste dovessero disattendere le previsioni.

Draghi starà molto attento a contenere ai minimi la volatilità dei bond. Come? Annunciando quasi certamente il taglio di altri 20 punti base (o,2%) dei tassi sui depositi “overnight”, portandoli al -0,60%. Per ridurre gli oneri a carico delle banche, dovrebbe contestualmente introdurre il “tiering”, vale a dire un sistema a scaglioni e con possibili franchigie per l’imposizione dei tassi negativi.

Perché la bassa inflazione in Germania è il vero problema della BCE

Ricordiamoci come da questo mese debuttano le nuove aste T-Ltro, con le quali le banche nell’area riceveranno liquidità a costi sostanzialmente nulli o, addirittura, guadagnandoci. Anche questa misura, però, è stata ampiamente scontata, per cui l’altro provvedimento capace di far proseguire il rally obbligazionario sarebbe effettivamente il ripristino degli acquisti di assets con il “quantitative easing”. Sospesi da inizio anno, potrebbero riprendere a ritmi attesi nell’ordine dei 15 miliardi di euro al mese in controvalore. L’impatto positivo sui prezzi dei bond sarebbe diretto, ma ad oggi appare improbabile che il QE2 venga annunciato al board di questo mese.

Non solo tassi, c’è pure il QE2

La BCE non dispone più di numerosi strumenti per ravvivare l’inflazione, tenendo ancora i tassi azzerati ed avendo da poco sospeso il QE. Solo nel caso di un ulteriore deterioramento delle condizioni macro, essa scenderebbe nuovamente in campo con l’avvio di nuovi acquisti. E chissà che Draghi non voglia lasciare la decisione alla Lagarde, trattandosi di una misura politicamente rilevante e che vedrebbe la Bundesbank contraria, almeno in linea di principio. In realtà, esistono ragioni tecniche ancora più importanti che s’intrecciano a quelle più prettamente politiche. I rendimenti negativi per oltre la metà dei bond sovrani nell’area descrivono benissimo la condizione di ipercomprato, cioè la carenza di titoli del debito negoziabili sul mercato secondario.

La BCE di Lagarde sarà più politica e meno tecnica e alla Germania non piacerà

Ciò vale particolarmente per i Bund, dal rendimento negativo lungo l’intera curva delle scadenze e difficilmente trovabili, anche per effetto della politica fiscale restrittiva del governo tedesco, a seguito della quale le emissioni sovrane di Berlino da tempo risultano inferiori ai titoli da rinnovare.

Rispettando la “capital key”, Francoforte non potrebbe fare a meno di acquistare Bund e per quasi il 30% del totale. Dovrebbe farlo in perdita anche puntando sulle scadenze ultra-lunghe, a meno che l’istituto non decidesse di porre sul tavolo la questione di una piena flessibilità in fase di acquisto, vale a dire il venir meno dell’ottemperanza proprio alla “capital key”, così da implementare il programma, un fatto che verrebbe certamente avversato dagli stati del nord e che avrebbe effetti depressivi sugli spread, in quanto privilegerebbe Bonos, BTp, bond portoghesi, francesi, etc.

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