Rendimenti dei BTp a 10 anni sempre sotto l’1% e ancora in calo oggi, con lo spread decennale a 150 punti base, il livello più basso dal febbraio scorso. Non importano il crollo del pil italiano, il boom del rapporto debito/pil e l’esplosione delle emissioni di titoli di stato da parte del Tesoro di Roma, perché la BCE sta garantendo l’assorbimento di queste ultime con maxi-acquisti di bond nell’Eurozona, praticamente coprendo tutto (o quasi) l’extra-indebitamento degli stati dovuto all’emergenza Covid.

E con l’accordo di luglio per il varo del “Recovery Fund”, il Consiglio europeo ha lanciato ai mercati finanziari il forte segnale che nessuno stato verrà lasciato solo a patire i suoi guai fiscali, contrariamente a quanto avvenne dopo la crisi del 2008-’09.

L’evoluzione nelle prossime settimane dipenderà essenzialmente dai segnali di ripresa nell’area. E alcuni indizi portano a temere una seconda ondata dei contagi, già in netta risalita in tutti i grandi stati europei. Eventuali nuove restrizioni metterebbero in difficoltà i governi e costringerebbero la BCE, oltre che la Commissione UE, ad adottare misure di sostegno rispettivamente al debito e all’economia per evitarne l’implosione, ma al contempo accrescerebbero i timori sulla non solvibilità degli stati più indebitati, Italia in testa.

BTp Italia e BTp Futura: i rendimenti restano a premio

Il caso Unipol

Prima di arrivare a un simile scenario, per fortuna tutt’altro che certo, bisogna fare i conti con quanto accade a casa nostra. Presentando i dati del primo semestre, il ceo di Unipol, Carlo Cimbri, ha annunciato che a malincuore dovrà ridurre le esposizioni verso i BTp, portando dal 55% al 40% gli investimenti rispetto al portafoglio obbligazionario, così da adempiere alle regole comunitarie, finalizzate a rendere meno volatile il “Solvency Ratio”, un indicatore della capacità delle compagnie assicurative di far fronte ai loro impegni.

Per Unipol, al 30 giugno 2020 si attestava al 188%, quasi il doppio del 100% minimo fissato dalla regolamentazione europea.

Questo significa non solo che la compagnia dovrà cedere non meno di 4 miliardi di BTp, in una fase in cui le emissioni nette del governo dovrebbero esplodere a circa 180 miliardi di euro nell’intero 2020 per finanziare le misure di spesa legate al Covid e per colmare il crollo del gettito fiscale; altre realtà potrebbero seguire e tra le stesse banche, le cui detenzioni di BTp hanno ormai raggiunto livelli molto elevati, oltre un quinto del debito sovrano sotto forma di titoli di stato.

E’ vero che nessuno a Francoforte si sognerebbe mai di imporre alle banche italiane di vendere BTp in una congiuntura terribile come questa, ma per contro nemmeno verrebbero avallati eccessivi ulteriori acquisti, percepiti come accrescimento del rischio bancario per effetto di quello sovrano. In altri termini, stiamo dando per scontato che i nostri istituti possano acquistare tutto il debito pubblico che vogliono, consentendo al Tesoro di emetterlo a bassi costi. E’ vero fino a un certo punto. I bilanci bancari non possono ammanettarsi ai problemi fiscali del Bel Paese, per quanto farebbe comodo in questa fase attingere alla liquidità a tassi negativi elargita dalla BCE per impiegarla nell’acquisto di titoli “risk free” e ancora redditizi. Ma c’è qualcosa che in gergo si chiama “moral suasion”  e che preme sugli attori del mercato per evitare operazioni improvvide.

La BCE sta dando una grossa mano ai BTp e anche a luglio abbiamo risparmiato

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