Nono sono state ancora annunciate emissioni di BTp Italia da parte del Tesoro. Anzi, le indiscrezioni delle scorse settimane vorrebbero che per quest’anno i risparmiatori italiani restino a bocca asciutta sul fronte dei bond retail loro dedicati sin dal debutto nel 2012. L’ultimo collocamento dell’autunno scorso è stato un flop totale, riflesso delle forti tensioni di quella fase, con lo spread BTp-Bund a 10 anni ad essersi impennato fin sopra i 300 punti base nelle settimane in cui Roma e Bruxelles litigavano sul deficit.

Non rassicura nemmeno la richiesta di una settimana fa della Commissione UE al Consiglio europeo di aprire una procedura d’infrazione contro l’Italia per eccesso di debito.

Bank of America Merrill Lynch, però, non pensa che la cancellazione dell’asta dei BTp Italia sia un segnale negativo, al contrario lo ritiene positivo per il semplice fatto che il Tesoro dimostrerebbe la capacità di farne a meno, in quanto il bond si sarebbe rivelato affatto conveniente per i conti pubblici. Abbiamo preso in considerazione quattro BTp Italia collocati sul mercato e alle varie scadenze. Partiamo con quello che matura nell’aprile 2020 (ISIN: IT0005012783): durata residua di 10 mesi, cedola minima garantita del 2,15% (venne emesso nel 2014), rendimento dello 0,58%. In sostanza, chi lo acquistasse oggi nemmeno coprirebbe l’inflazione presunta da qui al prossimo anno; un paradosso per un bond nato proprio per tutelare il potere di acquisto, ma che si spiega con l’impennata del prezzo sopra la pari.

Ad ogni modo, il BTp Italia si confronta con il rendimento di poco sopra lo zero dei BTp con cedola fissa e scadenza simile. Dunque, risulta più conveniente per il risparmiatore, meno per lo stato. E lo stesso dicasi per il novembre 2023 (ISIN:IT0005312142): cedola minima garantita dello 0,50%, rendimento all’1,52%, ma che si confronta con uno inferiore all’1,40% offerto dai BTp con cedola fissa di scadenza simile.

La musica cambia per altri BTp Italia più longevi: quello che scade nell’aprile 2024 (ISIN: IT0005174906) rende oggi l’1,42%, qualcosa in meno del corrispondente con cedola fissa. E il maggio 2026 (ISIN: IT0005332835) offre l’1,67%, oltre una decina di punti base in meno del bond con cedola fissa.

Segnale “bullish” per i BTp?

Questo significa che lo stato, in teoria, oggi avrebbe convenienza ad emettere BTp Italia, ma per le scadenze medio-lunghe, mentre i risparmiatori italiani farebbero meglio ad acquistare solo scadenze medio-brevi. Il punto è un altro: garantire al mercato una cedola minima può rivelarsi una scelta azzeccata per attirare capitali, ma sbagliata sul piano dell’impatto sui conti pubblici. Oggi come oggi, infatti, bond per ben 12.000 miliardi di dollari nel mondo rendono sottozero, di poco sotto i massimi toccati nel 2016. E gran parte dei bond con rendimenti positivi, nel mondo avanzato, offrono meno dell’inflazione attuale e prospettica. Perché mai lo stato italiano dovrebbe mostrarsi più generoso, quando già oggi riesce a rifinanziarsi a costi reali negativi fino ai 4 anni? Guarda caso, proprio l’orizzonte temporale entro cui non gli converrebbe emettere BTp Italia.

Probabile, quindi, che se emissioni di BTp Italia dal quinto anno insù non saranno annunciate è perché il Tesoro si attenderebbe un ulteriore calo dei rendimenti lungo la curva, non fosse che per la tendenza globale, che sta interessando particolarmente l’Eurozona e che ha ristretto gli spread nelle ultime settimane. E allora, più che segnale di paura, probabile che la mancata emissione di nuovi bond retail sia la conferma che: a) l’inflazione attesa dal mercato per il prossimo futuro sia così bassa, che nessuno avverte davvero l’esigenza di acquistare titoli con cedola variabile; b) l’attesa di rendimenti calanti spinge il Tesoro a puntare sui BTp con cedola fissa, quelli il cui rendimento all’emissione potrebbe scendere a livelli reali negativi per scadenze più longeve rispetto ad oggi.

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