Il Tesoro collocherà all’asta BTp€i a 5 e 30 anni, martedì prossimo. Si tratta di BTp indicizzati all’inflazione dell’Eurozona e con scadenze 15 maggio 2026 e 15 maggio 2051. Nel dettaglio, offrirà la settima tranche del primo titolo con cedola 0,65% (ISIN: IT0005415416) per un ammontare compreso tra 500 milioni e 1 miliardo di euro. E ci sarà la seconda tranche del secondo titolo con cedola 0,15% (ISIN: IT0005436701) per un importo compreso tra 500 e 750 milioni di euro.

I BTp indicizzati all’inflazione offrono una cedola periodica minima certa, che va considerata il tasso reale dell’investimento.

Ad essa si aggancia il tasso d’inflazione del periodo, così come rilevato dall’Eurostat. Come qualsiasi altro bond, anche questi titoli si compravendono sul mercato secondario. E così, sul MoT di Borsa Italiana troviamo che il BTp€i 2026 si acquista a 108,41 oggi, cioè nettamente sopra la pari. Al netto dell’inflazione, offre un rendimento del -0,93%. Il BTp€i 2051, invece, quota sotto la pari, a 96,10, pari a un rendimento dello 0,29%.

Se confrontiamo questi BTp indicizzati con gli omologhi ordinari, cioè con cedola fissa, scopriamo che il BTp€i 2026 rende l’1,04% in meno, il BTp€i 2051 l’1,50% in meno. Questo significa che se compriamo questi bond, affinché l’operazione abbia un senso sul piano economico, dovremmo scontare tassi d’inflazione sopra certi livelli. Nello specifico, il BTp€i 2026 sarebbe più conveniente del suo omologo con cedola fissa, solo se da qui a 5 anni l’inflazione europea fosse almeno dell’1,05% medio. Per quanto riguarda il BTp€i 2051, l’inflazione dovrebbe risultare da qui a 30 anni almeno dell’1,50% annuo.

BTp indicizzati e fattore inflazione

Cosa succede, infatti, se i tassi d’inflazione fossero più bassi? La cedola dei BTp indicizzati si rivaluterebbe in misura insufficiente per garantire un rendimento almeno pari a quello offerto dai BTp ordinari. A quel punto, tanto valeva investire in questi ultimi.

La domanda vera, quindi, è se ci aspettiamo davvero una crescita dei prezzi al consumo pari almeno ai suddetti livelli. A marzo, l’inflazione nell’unione monetaria è salita all’1,3%. Per quanto bassa sia stata già negli anni pre-Covid, effettivamente dovremmo attenderci un livello medio decisamente superiore all’1%, specie nel caso di ripresa robusta dell’economia.

Quanto al trentennale, c’è un grosso punto interrogativo. In teoria, il target d’inflazione BCE “vicino, ma di poco inferiore al 2%” ci spingerebbe a ritenere che i BTp indicizzati con scadenza 2051 offriranno rendimenti certamente superiori dell’1,5% rispetto ai concorrenti con cedola fissa. D’altra parte, in un orizzonte temporale così lungo non sembra possibile fare previsioni. E dato il trend globale degli ultimi anni, non sembra così scontato che il tasso medio d’inflazione nei prossimi decenni sia di almeno l’1,5%.

Chiaramente, si potrebbero acquistare questi bond senza puntare a tenerli in portafoglio fino alla scadenza. In questo caso, l’orizzonte temporale che ci interesserebbe sarebbe più corto per valutare la convenienza. Infine, i BTp indicizzati si rivelerebbero un buon investimento nel caso in cui l’inflazione europea corresse più velocemente di quella italiana. Otterremmo rendimenti agganciati alla prima, ma perdendo un minore potere di acquisto.

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