Tra pochi mesi arriva in scadenza un titolo di scadenza a lunghissimo termine: il BTp in dollari 27 settembre 2023 e cedola 6,875% (ISIN: US465410AH18). Il Tesoro dovrà rimborsare 3,5 miliardi di dollari, corrispondenti al tasso di cambio attuale a poco più di 3,2 miliardi di euro. Questo bond fu emesso nel lontano settembre del 1993 ad un prezzo di 98,725 centesimi e un rendimento lordo del 7%. Alla luce dei recenti rialzi dei tassi d’interesse, non sembra più un dato sproposito come fino a qualche anno addietro.

Ad esempio, l’attuale trentennale in dollari emesso dal Tesoro italiano offre più del 6%. Parliamo del BTp in scadenza in data 6 maggio 2051 e cedola 3,875% (ISIN: US465410CC03).

Bilancio dopo 30 anni

C’è una peculiarità nel BTp in dollari che sarà rimborsato tra pochi mesi. Esso fu emesso all’epoca in cui l’Italia aveva la lira. Il Trattato di Maastricht che pose le basi per la nascita dell’euro era stato firmato l’anno prima. Al cambio tra dollaro e lira italiana di allora per acquistare un lotto minimo di 1.000 dollari servivano 1 milione 585 mila lire. Questa settimana, il bond ha chiuso sopra la pari, in area 100,40. Alla scadenza, ovviamente, il rimborso avverrà alla pari (100). Non possiamo sapere quale sarà il cambio euro-dollaro per quel giorno. Se rimasse invariato rispetto a circa 1,09 a cui si attestava al termine di questa settimana, un lotto minimo varrebbe circa 917 euro. E sapendo che 1 euro equivale a 1.936,27 lire, ciò equivarrebbe a 1 milione 776 mila lire e rotti.

Rispetto all’emissione, quindi, l’obbligazionista registrerebbe un apprezzamento del capitale del 12%. Il rendimento annuo effettivo salirebbe così al 7,38%. Al netto dell’imposizione fiscale, scenderebbe a un buon 6,45% circa. Se volessimo anche tenere presente dell’inflazione, il dato medio in questi trenta anni per l’ISTAT risulta essere del 2,14%. In definitiva, il rendimento netto reale sarebbe superiore al 4,30%.

BTp in dollari, valore dell’investimento salvaguardato

In realtà, il calcolo sarebbe più complesso. Le cedole sono state distribuite due volte all’anno dall’emissione del ’93, per cui il rendimento ha risentito dell’andamento del cambio tra euro/lira e dollaro ad ogni data di pagamento. E considerate che nel 2008 fu raggiunto il massimo storico di 1,60, un tasso di cambio del 45% più forte rispetto a quello odierno per la moneta unica. Il bilancio effettivo dell’investimento, pertanto, sarebbe diverso dal dato sopra indicato. Ad ogni modo, può considerarsi abbastanza positivo.

Anche lo stato italiano ha fatto un affare. Se avesse emesso il debito in lire, anziché il BTp in dollari, avrebbe dovuto offrire al mercato un rendimento intorno al 10%. A conti fatti, a quel tempo il mercato sovrastimò il rischio valutario a carico dell’Italia. Ma questo ragionamento a posteriori non spiega il timore più che fondato di allora. Se l’Italia non fosse entrata nell’euro, probabile che quel rischio sarebbe risultato azzeccato. Infatti, nei trenta anni precedenti la lira aveva perso più del 60% del suo valore contro il dollaro.

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