Nessuna sorpresa venerdì sera, quando Standard & Poor’s ha confermato il rating del debito pubblico italiano a “BBB”, tenendo l’outlook “negativo”. L’agenzia ha spiegato la decisione con il fatto che le corpose emissioni di titoli di stato italiani quest’anno saranno assorbite da acquisti altrettanto voluminosi della BCE, ma ha avvertito che tiene sotto osservazione la dinamica del nostro rapporto debito/pil, perché se non dovessero essere messe in atto “entro i prossimi tre anni” misure per consentirne la discesa, ciò impatterebbe sulle sue valutazioni creditizie.

In altre parole, boccata di ossigeno per i BTp, che oggi hanno ripreso ad apprezzarsi, con il rendimento a 10 anni ad essere sceso all’1,79% dall’1,92% di venerdì scorso e lo spread BTp-Bund decennale ad essersi ristretto a meno di 224 punti base, giù dai 239 della chiusura precedente.

Cosa succede ai BTp se Standard & Poor’s declassa il rating a “junk”?

Secondo S&P, grazie al supporto della BCE, quest’anno il rendimento medio delle nuove emissioni scenderà allo 0,8%, che si confronta con il 2,5% di quello generale, ottenendosi risparmi anche rispetto al 2019. Insomma, nessun pericolo imminente per la sostenibilità del debito pubblico italiano, perché la sua incidenza sui conti pubblici tende paradossalmente a ridursi, pur in una fase complicata come l’attuale.

Investimenti coattivi come patrimoniale di fatto

Tirato il sospiro di sollievo per avere al momento evitato un declassamento a “spazzatura” del rating sovrano, sarebbe il caso di non rilassarsi troppo. La caccia ai capitali del Tesoro prosegue, perché quest’anno serviranno circa 150 miliardi, forse di più, per coprire le uscite dello stato. E un extra-deficit da 100-150 miliardi non possiamo permettercelo senza correre il rischio di un’impennata dei costi, cioè di perdere l’accesso ai mercati finanziari. Da qui, le varie ipotesi che circolano da settimane, come quella di lanciare BTp dedicati ai risparmiatori italiani, meglio se “perpetui”.

Questa è stata l’ipotesi di cui vi abbiamo parlato nel corso della settimana scorsa.

Le caratteristiche di un BTp perpetuo per superare la crisi fiscale da Coronavirus

Nulla di male, se non fosse che si affacciano all’orizzonte scenari meno rassicuranti. L’ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, vorrebbe che la quota di debito in mano alle famiglie italiane salga dal 5% attuale al 15-20%. Come? Sempre attraverso il lancio di BTp perpetui, fiscalmente garantiti e che offrano una sorta di scudo penale per quanti importino capitali dall’estero esportati illegalmente nel passato. Sembra a tutti gli effetti la nostra proposta. Il problema politico sta nel rischio che il governo opti, più o meno convinto dall’establishment finanziario, per una soluzione coattiva, vale a dire per imporre investimenti forzati in BTp ai titolari di conti correnti/deposito sopra un certo ammontare, così da evitare l’alternativa ancora più traumatica della patrimoniale o del prelievo forzoso.

Costringere ad investire in BTp sarebbe un fatto gravissimo, di fatto una patrimoniale sotto mentite spoglie, anche perché farebbe ricadere sugli investitori l’eventuale perdita derivante dalla rivendita del bond sul mercato secondario prima della scadenza e finalizzata a tornare in possesso della liquidità coattivamente impiegata. E in una ipotesi del genere, verosimile pensare che le condizioni imposte dai titoli sarebbero meno generose di quelle che verrebbero offerte in uno scenario di mercato, non essendo richiesta alcuna adesione volontaria da parte dell’investitore, obbligato ad essere tale per decreto. Stiamo parlando di ipotesi senza alcun valore concreto, ma se il Tesoro incontrasse difficoltà a rifinanziarsi nei prossimi mesi, chi potrebbe ancora escludere che non diverranno opzioni reali in mano all’esecutivo?

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