Capisci di vivere in tempi particolari quando i mercati finanziari trovano qualcosa da festeggiare per il dato sull’inflazione americana a marzo, salita all’8,5%, ai massimi dal dicembre 1981. L’ultima volta che i prezzi al consumo nella prima economia mondiale erano cresciuti così tanto, la radio passava “Physical” di Olivia Newton-John e “Bette Davis Eyes” di Kim Carnes; alla Casa Bianca c’era il presidente-cowboy, Ronald Reagan, e ai botteghini proiettavano “I predatori dell’Arca Perduta” di Stephen King. Ma, soprattutto, la Federal Reserve di Paul Volcker aveva fissato i tassi d’interesse al 12%, il 3,1% più alti dell’inflazione.

BTp a 10 anni al 2,5%, discesa prezzi non finita

Al momento, invece, i tassi FED sono stati alzati appena allo 0,5% e al board di maggio ci si aspetta tutt’al più che salgano all’1%. In termini reali, rispetto all’inflazione di marzo sarebbero a -7,5%. Eppure, i mercati hanno festeggiato, se così possiamo dire. Ieri, le borse hanno accentuato i guadagni e i rendimenti dei bond sono un po’ scesi dai massimi “intraday”. Il Treasury a 10 anni era arrivato ad offrire oltre il 2,8%, ripiegando dopo la pubblicazione del dato verso 2,7%. In Italia, il BTp a 10 anni è sceso da 2,53% a 2,41%.

Questa leggera euforia è stata dettata dall’allontanamento dello spauracchio di un board d’emergenza, che si temeva la FED avrebbe potuto tenere per alzare i tassi nel caso in cui l’inflazione USA fosse risultata a marzo superiore alle attese. Queste erano esattamente per una crescita annuale dei prezzi annuali dell’8,5%. Poiché non c’è stata alcuna sorpresa negativa, adesso il mercato non teme neppure che a maggio la FED alzi i tassi dello 0,75%, bensì dello 0,5%.

Tassi reali restano iper-negativi

Sta di fatto che per il momento i tassi reali americani sono a -8%, persino più bassi del -7,8% in Germania. Il cambio euro-dollaro resta debole sotto 1,10 proprio per questo equilibrio al ribasso tra USA ed Eurozona, che vede la FED intervenire lentamente contro l’inflazione e la BCE ancora ferma.

Il Treasury a 10 anni è evidentemente ancora fin troppo poco generoso. Alcuni analisti prevedono che si porti al 3,5% entro l’anno e che nel frattempo l’inflazione americana scenda dal picco verosimilmente toccato a marzo.

Per il mercato obbligazionario, siamo alla fine di un’era. Dagli anni Ottanta ad oggi, i rendimenti sono stati calanti grazie alla contestuale discesa dei tassi d’inflazione e alle politiche monetarie delle banche centrali sempre più accomodanti. Adesso, sta accadendo il contrario. E c’è il sentore che non si tratti di un ciclo rialzista dei tassi ordinario, bensì di una svolta storica a tutti gli effetti, dovuta a cambiamenti nei fattori strutturali che credevamo consolidati definitivamente. E’ in atto una reglobalizzazione con tanto di catene produttive più corte e un innalzamento inevitabile dei costi di produzione, cioè dell’inflazione. Le tensioni geopolitiche rischiano di essere più durature del previsto e, infine, se le banche centrali non interverranno contro il carovita, potrebbero perdere credibilità, sebbene con ogni probabilità si mostreranno più tolleranti che in passato circa i tassi d’inflazione.

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