Un mese fa, la quotazione dell’oro toccava il suo nuovo massimo storico superando i 2.057 dollari l’oncia. Ieri, la stessa risultava scesa sotto 1.930 dollari. Si direbbe che il mercato abbia grosso modo assorbito le tensioni geopolitiche in corso. Ad ogni modo, il metallo sale del 5,5% quest’anno. E non è poco, se pensiamo che nello stesso arco di tempo il dollaro si sia apprezzato mediamente di quasi il 3,5% contro le altre valute. La correlazione negativa con il biglietto verde non s’intravede in questa fase, complici proprio le tensioni sui mercati.

La quotazione dell’oro, tuttavia, risulta limitata superiormente dall’attesa rialzista dei tassi d’interesse. Il rendimento a 10 anni americano è salito oramai in area 2,4-2,5%. Era a 1,63% all’inizio dell’anno. Poiché il metallo è un asset senza cedola, subisce la concorrenza del mercato obbligazionario. Eppure, nemmeno bond divenuti più appetibili lo stanno scalfendo.

Quotazione oro a prova di tassi

Il mercato crede che alla fine dell’anno i tassi americani saranno fissati al 2,75%, se non al 3%. Un grosso balzo dallo 0,5% attuale. La stretta monetaria, peraltro, attecchisce un po’ ovunque. E’ già realtà nel Regno Unito e Canada, lo sarà verosimilmente presto in Australia ed Eurozona. In teoria, un quadro tendenzialmente depresso per la quotazione dell’oro nel medio termine.

Ma l’oro non è mai stato un investimento di breve periodo. E’ il classico bene che si acquista per metterlo in cassaforte per un domani, spesso neppure troppo vicino. Un modo per proteggersi dalla perdita del potere d’acquisto e dalla svalutazione del cambio. E con un’inflazione salita al 7-8% nel mondo ricco, c’è poco da riflettere. Oggi come oggi, non esiste alcun mercato obbligazionario capace di proteggere il capitale dall’erosione dei prezzi. Ciò spiega perché il rialzo dei rendimenti non stia scalfendo la quotazione dell’oro: in termini reali, stanno diminuendo ulteriormente.

Sì, ma l’inflazione sarà un fenomeno temporaneo. Così dicevano le banche centrali più importanti, senonché la Federal Reserve è stata la prima ad essersi rimangiata questa frase. Le altre seguiranno nei prossimi mesi, giusto il tempo di superare l’imbarazzo. Il picco della globalizzazione è stato raggiunto prima della pandemia. Dopodiché, tra Covid prima e guerra adesso stiamo dirigendoci verso un mondo un po’ meno interconnesso sul piano commerciale e forse anche finanziario. Le catene di produzione tendono ad accorciarsi per reagire meglio agli shock. Gli stessi governi non vogliono più ritrovarsi a gestire colli di bottiglia e carenze di prodotti come in questi due anni.

Verso una nuova globalizzazione

La conseguenza di questa parziale deglobalizzazione, che sarebbe meglio definire reglobalizzazione, sarà la lievitazione dei costi di produzione e la ridotta concorrenza tra le imprese sul piano dei prezzi. In sostanza, l’inflazione diverrà un fenomeno strutturale. Dopo qualche decennio passato a teorizzarne la fine, la realtà che ci si sta presentando davanti sembra un’altra. La quotazione dell’oro si gioverà di questo scenario, dato che per sua natura il metallo splende proprio quando il mondo ha bisogno di certezze contro l’instabilità dei prezzi.

The least, but non the last, le banche centrali di economie come Cina, India, Russia e Turchia verosimilmente continueranno ad accumulare riserve di oro per mostrarsi quanto più solide finanziariamente. Le sanzioni occidentali contro la Russia hanno accresciuto la consapevolezza che l’oro sia l’unico asset non manipolabile da potenze “nemiche”, oltre che universalmente accettato in qualsivoglia situazione. La domanda sarà sostenuta nei prossimi anni, la quotazione potrà continuare a salire.

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