In questo articolo ci concentreremo ad analizzare il BTp 2051, cioè il bond “benchmark” per la scadenza a 30 anni. Ha debuttato nell’autunno scorso e ad oggi risultano esserne stati emessi per un controvalore di 8 miliardi di euro. Il titolo scade in data 1 settembre 2051 e offre cedola 1,70% (ISIN: IT0005425233). Negli ultimi mesi, in linea con il trend generale, ha accusato un duro calo.

In effetti, la quotazione del BTp 2051 è crollata del 10% in tre mesi. Oggi, si attesta a 95,60 centesimi, decisamente sotto la pari.

In termini di rendimento alla scadenza, offre l’1,90%. Tre mesi fa, offriva l’1,45%. Dunque, nel frattempo si è impennato di quasi mezzo punto percentuale, per l’esattezza dello 0,45% lordo. Che cos’è successo? Qui, entra in gioco l’inflazione. L’ultimo dato disponibile si riferisce chiaramente al mese di aprile, quando la crescita annuale dei prezzi in Italia è stata dell’1,1%.

Quando è iniziata la caduta dei titoli di stato italiani sul mercato secondario, avevamo come ultimo dato sull’inflazione quello di gennaio. Allora, si attestava ancora allo 0,4%. Dunque, il BTp 2051 si è deprezzato a doppia cifra essenzialmente perché gli obbligazionisti stanno giustamente scontando la più alta inflazione. E guardate che, in termini reali, i rendimenti odierni risultano persino più bassi di tre mesi fa. Infatti, allora il trentennale offriva l’1%, al netto dell’inflazione; oggi, offre lo 0,8%.

BTp 2051, rendimento congruo?

Sappiamo che le scadenze più lunghe sono anche le più colpite dal “re-pricing” nelle fasi di surriscaldamento dei tassi d’inflazione e di fuga dal comparto obbligazionario. Ciò è dato dall’alta “duration”. La domanda che, a questo punto, ci poniamo è se i livelli di rendimento offerti attualmente dal BTp 2051 siano congrui o destinati a salire ulteriormente. Anzitutto, possiamo rispondere che attualmente essi si mostrino in linea con il target d’inflazione della BCE per il medio termine.

Ora, non sappiamo chiaramente se la BCE riuscirà a centrare l’obiettivo da qui ai prossimi anni, né se i tassi effettivi d’inflazione non si porteranno sopra di esso per un po’ e con la tolleranza dell’istituto.

Sappiamo, però, che il BTp 2051 sarebbe teoricamente già capace di proteggere il potere di acquisto del capitale investito in una prospettiva di medio-lungo periodo. Ad esempio, sulla medesima scadenza il Bund della Germania offre appena un terzo di punto percentuale, a fronte di un’inflazione tedesca già al 2%.

Dovremmo supporre che, prima di pretendere rendimenti ancora più alti, il mercato inizi a vendere bond “core” nell’Eurozona a lunga scadenza per riversarsi sugli omologhi italiani, spagnoli e portoghesi. Certo, si assumerebbe un rischio sovrano più alto, specie se il ritiro graduale degli stimoli monetari dovesse avvenire in un contesto di mancata o parziale ripresa dell’economia nel Sud Europa. Ma lo spread di quasi 160 punti base sul tratto a 30 anni avrebbe modo di restringersi un po’, man mano che i rendimenti tedeschi saliranno. Molto, se non tutto, dipenderà dall’approccio della BCE alla normalizzazione monetaria.

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