Con un tasso d’inflazione sopra il 6% e prospettive poco rassicurante sul fronte del carovita nei prossimi mesi, le famiglie italiane appaiono disorientate su come investire i propri risparmi. Vorrebbero metterli al riparo dalla perdita del potere d’acquisto, ma i rendimenti offerti dai bond risultano ancora decisamente bassi. E dire che sono letteralmente esplosi negli ultimi mesi. Chi volesse rovistare tra i titoli di stato italiani, dovrebbe dare un’occhiata al BTp 1 maggio 2031 e cedola 6% (ISIN: IT0001444378). Fu emesso dal Tesoro alla fine degli anni Novanta, per cui debuttò sul mercato da ultra-trentennale.

Lo tradisce l’alta cedola offerta, sebbene a quei tempi i tassi fossero elevati anche sulle scadenze ben più corte.

Rendimento su, prezzo giù

Quest’anno, il BTp 2031 ha perso circa il 13%. Venerdì scorso, la quotazione era inferiore a 126. Per contro, il rendimento netto è salito da 0,75% a 2,16%. Se a gennaio, quindi, questo bond appariva quasi insignificante per via del prezzo eccessivo, adesso non può che riscuotere qualche simpatia tra gli obbligazionisti. In effetti, presenta una durata residua inferiore ai 9 anni, per cui acquistandolo s’investirebbe su un orizzonte temporale non così lungo. Secondariamente, offre un rendimento netto interessante. Se la BCE riuscisse a mantenere fede al proprio impegno di perseguire un’inflazione media nell’Eurozona al 2%, il BTp 2031 coprirebbe del tutto la perdita del potere d’acquisto.

Ancora più interessante è la maxi-cedola. Al netto della tassazione e rapportata al prezzo dell’investimento, venerdì si attestava al 4,17% annuo. Tantissimo, teoricamente capace di più che coprire l’inflazione media nei prossimi anni. A inizio gennaio, si attestava al 3,64%, cioè risultava più bassa di mezzo punto percentuale. Certo, alla scadenza l’obbligazionista registrerebbe una perdita netta del 18%. Gli verrà rimborsato il capitale a 100, pur avendolo speso 126.

Rivendere il BTp 2031 prima della scadenza?

Tuttavia, si può sempre uscire prima dall’investimento.

E la perdita non sarebbe così matematicamente certa. Supponiamo di rivendere il BTp 2031 tra tre anni esatti. Per allora, ipotizziamo che la BCE abbia concluso il rialzo dei tassi. Il mercato inizia a scontare una politica monetaria più espansiva e i prezzi dei bond salgono, mentre i rendimenti scendono. A una quotazione invariata rispetto ad oggi, il BTp 2031 offrirebbe quasi l’1,3% lordo. Ricordiamo che per allora avrebbe una durata residua di meno di 6 anni. Sarebbe un rendimento certamente basso, ma considerate che in questi anni, pur eccezionali sul piano delle condizioni monetarie, questa scadenza è arrivata ad azzerarsi.

Molto probabile che il BTp 2031 esibisca una quotazione inferiore a quella attuale, ma forse non così tanto da infliggerci una perdita esiziale. A 120, ad esempio, perderemmo poco più del 4% netto. Spalmato sui tre anni dell’investimento, il rendimento netto effettivo scenderebbe a poco meno del 2,8%. E a quel punto, il bond renderebbe alla scadenza il 2,2%, un dato assai verosimile. Chiaramente, stiamo ipotizzando numeri che potrebbero rivelarsi del tutto strampalati. Ma vogliamo dimostrarvi che il rendimento alla scadenza sia un concetto che va preso per le pinze, semplicemente perché la fine di un investimento non deve necessariamente coincidere con la data fissata per il rimborso.

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