Dopo avere negato la realtà per mesi, le banche centrali stanno correndo a riparare i danni commessi da loro stesse. La Federal Reserve ha iniziato ad alzare i tassi d’interesse a marzo, mentre la BCE con ogni probabilità varerà il suo primo rialzo dei tassi a luglio. Poche settimane prima cesserebbe gli acquisti netti di asset con il “quantitative easing”. E’ la fine di un’era nell’Eurozona e possibilmente l’inizio di una nuova. Perché la fine degli stimoli monetari avvicina rapidamente gli eurobond.

Dopo quasi un decennio di artifici escogitati per sfuggire alla realtà, questa si presenta cruda come prima e più di prima. Aumentando il costo del denaro, la BCE cercherà di contrastare l’alta inflazione di questi mesi. Tuttavia, rischia di portare le economie nell’area in recessione e di scatenare una nuova crisi dei debiti sovrani.

Eurobond, resistenze nel Nord Europa

I mercati iniziano a scontare un futuro fosco per l’Italia, il cui spread BTp-Bund è esploso a 200 punti base. Pretendono dai BTp a 10 anni un rendimento intorno al 3%, mentre si accontentano ancora di meno dell’1% sui Bund. Per tutto il 2023 la Commissione europea quasi certamente prorogherà la sospensione del Patto di stabilità. Insomma, nessun paese dell’Eurozona sarà costretto a rientrare sotto il 3% di deficit/PIL. Ma il problema è che paesi come l’Italia hanno debiti così alti da non potersi permettere più una politica fiscale espansiva, quali che siano le regole decise a Bruxelles.

L’ipotesi di emettere nuovi eurobond dopo quelli decisi a seguito della pandemia è stata sinora bocciata dal Nord Europa, Svezia in testa. Era stata lanciata dalla Francia di Emmanuel Macron per affrontare insieme i costi legati alla guerra e all’energia. Ma gli scandinavi saranno costretti a più miti consigli dovendo entrare nella NATO con l’appoggio “unanime” dei suoi membri, Italia inclusa.

E il punto vero è un altro: li si chiami come si vuole, ma senza emissioni comuni di debito l’Eurozona rischia di saltare esattamente come nel 2011. Con un’aggravante: rispetto ad allora, i debiti sono ovunque più alti e, soprattutto, esiste la consapevolezza che non sia possibile chiedere ulteriori sacrifici agli italiani dopo troppi anni di crisi e mancata crescita.

Germania dirà sì per battere l’inflazione

Peraltro, l’opposizione della Svezia sarebbe superata facilmente: gli eurobond riguarderebbero gli stati dell’unione monetaria, di cui il paese scandinavo non fa parte. La Germania non ha mai avallato un simile piano, ma anche stavolta sarà costretta a fare i conti con la realtà. Senza eurobond è difficilissimo un rialzo dei tassi BCE deciso e veloce. E senza una stretta monetaria, l’inflazione rischia di sfuggire di mano a lungo. I tedeschi non amano l’instabilità dei prezzi. Per questo, accetterebbero “obtorto collo” di fare altri debiti in comune con gli “spendaccioni” del Sud Europa. Del resto, si sono già tolti il dente con la pandemia e sotto una cancelliera conservatrice. Hanno fatto trenta e dovranno fare trentuno.

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