Ancora in agosto, ancora sotto un’amministrazione democratica. Era il 5 del mese nell’anno 2011 quando l’agenzia di rating S&P declassò i bond USA ad AA+, facendole perdere la tripla A. Ieri sera, un annuncio in tal senso è arrivato anche da Fitch a distanza di circa dodici anni esatti. E anche stavolta il declassamento è di un gradino ad AA+. A questo punto, rimane solo Moody’s ad assegnare la tripla A al debito pubblico americano a lungo termine.

Secondo l’agenzia, il “downgrade” si giustifica con le tensioni relative all’innalzamento del tetto al debito e all’assenza di una strategia fiscale a lungo termine. Ciò ha intaccato la “fiducia nella gestione di bilancio”.

Sempre Fitch nota come la crescita del PIL rallenterà quest’anno all’1,2% dal 2,1% dello scorso anno e sarà appena dello 0,5% nel 2024. Nell’ultimo trimestre di quest’anno e nel primo del prossimo, aggiunge di prevedere l’ingresso nella recessione economica per gli Stati Uniti. Inoltre, il deficit fiscale del governo salirà dal 3,7% del 2022 al 6,3% di quest’anno. Infine, nota che il rapporto tra debito e PIL si attesterà al 112,9%, sopra i livelli pre-pandemici e alla media del 39,3% per i paesi con rating tripla A.

Esplode spesa per interessi

Insomma, i bond USA non meritano più il massimo giudizio di affidabilità creditizia. Una decisione destinata per gli esperti ad avere scarso impatto sui mercati. Non dovrebbe aumentare più di tanto il costo di emissione del debito. Sta di fatto che la superpotenza è sempre più in affanno sul piano fiscale. Da molti anni assiste alla crescita del rapporto debito/PIL. Era al 53% nel 2000 e a meno del 65% nel 2007, l’anno che precedette la crisi dei mutui subprime. Dall’inizio della pandemia, il debito è esploso di oltre 8.000 miliardi di dollari. Non s’intravede alcuna proposta politica che vada nella direzione di ridurre gli enormi disavanzi fiscali, vuoi tagliando la spesa pubblica, vuoi aumentando le entrate o entrambe le cose.

Il Congressional Budget Office stima per l’anno prossimo una spesa per interessi di 745 miliardi e destinata a salire a 1.400 miliardi al 2033. Era di 352 miliardi nel 2021. Di questo passo, tra dieci anno assorbirà il 3,7% del PIL da una media del 2,5% nei cinquanta anni passati. Addirittura, tra trenta anni tale voce salirebbe al 6,7% del PIL. Considerate che l’Italia oggi spende meno del 3% del PIL in interessi sul suo debito pubblico. I bond USA offrono, tuttavia, rendimenti più alti dei BTp lungo la curva, a causa della più vigorosa stretta monetaria della Federal Reserve.

Bond USA declassati, l’ira di Biden

Ad oggi, gli Stati Uniti hanno beneficiato di quel “privilegio esorbitante” che consiste nell’emettere debito in dollari. Essendo la valuta di riserva mondiale, il dollaro attira capitali dal resto del pianeta e ciò aiuta a tenere bassi i tassi americani. Già prima che montassero le tensioni geopolitiche con Cina e Russia, parte del mondo si chiedeva se l’affidabilità fiscale di Zio Sam fosse così sicura come tendiamo a credere. Non sarebbe serio esagerare la portata del declassamento dei bond USA di ieri, ma neppure saggio sottovalutare il segnale lanciato dalla seconda agenzia in una dozzina di anni. Quello di S&P rimase inascoltato.

A sentire le reazioni della Casa Bianca, non l’hanno presa affatto bene. La decisione di Fitch è considerata “obsoleta” e “arbitraria”. Il governo fa notare che l’amministrazione Biden starebbe facendo crescere l’economia ai ritmi più veloci tra le grandi del pianeta. Allo stesso tempo, ha dichiarato che “l’estremismo dei repubblicani rappresenta una grande minaccia per la nostra economia”. Insomma, buttarla in caciara per non assumersi la responsabilità di una gestione fiscale dissennata.

Non ci sono le premesse per guardare con serenità al prossimo futuro a Washington, specie considerate le fortissime tensioni politiche interne.

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