In Turchia, l’inflazione a febbraio è volata al 54,4%, il livello più alto da 20 anni. Se l’aumento dei prezzi al consumo è un fenomeno comune alle economie mondiali, qui è esacerbato dal crollo del cambio. La lira turca nel 2021 ha perso il 44% contro il dollaro. E per la prima volta da dicembre, venerdì ha chiuso la seduta a un tasso di cambio superiore a 14. Male anche il mercato dei bond sovrani, con il rendimento a 10 anni schizzato sopra il 25%. La scadenza a 2 anni si attesta nei dintorni del 23,5%.

La banca centrale ha tagliato i tassi d’interesse dal 19% al 14% tra settembre e dicembre dello scorso anno. Proprio questo allentamento monetario in piena reflazione ha provocato il crollo della lira. A febbraio, ha tenuto i tassi invariati per la seconda volta consecutiva. Probabile che lo faccia anche a marzo, sebbene gli analisti diffidino della capacità del governatore Sahap Kavcioglu di ritagliarsi un minimo d’indipendenza dalla sfera politica. E il presidente Erdogan continua a pretendere tassi ancora più bassi.

Se non fosse che i rendimenti sovrani stiano scendendo sui mercati maturi per via delle tensioni geopolitiche legate all’invasione russa dell’Ucraina, i bond turchi si sarebbero deprezzati ulteriormente. Il calo riguarda anche i titoli denominati in valute straniere. La scadenza in dollari 15 gennaio 2031 e cedola 5,95% ha perso quasi il 15% da fine agosto. A una quotazione di neppure 83 centesimi, offre attualmente un rendimento lordo in area 9%, cioè a premio di 725 punti base rispetto al Treasury a 10 anni.

Bond Turchia, qualche speranza dalla geopolitica

Va detto, però, che la Turchia può avvantaggiarsi in questa fase della guerra ucraina. La sua vicinanza politica negli ultimi anni alla Russia di Vladimir Putin e la sua contestuale appartenenza alla NATO la collocano in una posizione di privilegio nelle relazioni internazionali, persino di possibile mediazione tra le parti.

Tant’è che Ankara si è rifiutata di comminare sanzioni contro Mosca, preferendo non seguire le cancellerie occidentali. Grazie a queste sue caratteristiche, le tensioni con USA ed Europa relative allo stato di diritto e alle interferenze nella guerra in Siria dovrebbero scemare, anzi sono già scemate. E questo placherebbe a sua volta le tensioni finanziarie, prospettando una possibile stabilizzazione dei flussi dei capitali dopo un periodo caratterizzato dalla grande fuga.

In altre parole, la Turchia può giocarsi la carta dell’alleato comodo in piena guerra in Europa, mettendosi almeno momentaneamente le spalle le frizioni geopolitiche, forte concausa del crollo della lira. Se ne avvantaggerebbero anche i suoi bond, sebbene i fondamentali siano drammatici. E non è un caso che dopo una tregua di qualche mese, il cambio sia tornato ad indebolirsi in scia alla fuga dei capitali verso i “safe asset”.

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