Non è stata di certo positiva la reazione del mercato obbligazionario al taglio dei tassi annunciato giovedì scorso dalla banca centrale turca. E non poteva essere altrimenti, data l’inflazione sopra l’80%. L’assenza di raziocinio nella politica monetaria adottata da Ankara ha penalizzato i bond in dollari emessi dalla Turchia e negoziati sul mercato secondario. La scadenza a 3 anni, 5 febbraio 2025 e cedola 7,375% (ISIN: US900123AW05), lasciava sul terreno lo 0,9% venerdì, scendendo a una quotazione di 95,26 centesimi e offrendo un rendimento del 9,88%.

In calo anche la scadenza a 5 anni, 24 settembre 2027 e cedola 8,6% (ISIN: USM882269US88), che perdeva poco meno di mezzo punto percentuale, prezzando a 94,65 centesimi e rendendo il 10,24%.

Infine, il bond in dollari con scadenza 15 gennaio 2030 e cedola 11,875% (ISIN: US900123AL40), perdeva l’1,25% e quotava 107,50, rendendo il 10,40%. Rendimenti esplosivi, che ai più sembreranno ingenerosi per un paese con un debito pubblico poco sopra il 40% del PIL. Va detto che tali cali dei prezzi risentono anche del rialzo dei rendimenti americani. Il quinquennale USA stava al 3,95% venerdì. Lo spread della Turchia su questa scadenza è, dunque, di 630 punti base scarsi o 6,30%.

Rating bond Turchia “spazzatura”

Tuttavia, dovete considerare che i bond della Turchia siano “non investment grade” per le agenzie di rating. I giudizi pessimi sono legati al fatto che il sistema economico sia molto esposto verso l’estero. I soli debiti a 12 mesi in valute straniere superano i 180 miliardi di dollari, mentre le riserve valutarie non arrivano a 75 miliardi. Solo la continua svalutazione della lira turca eviterebbe una crisi della bilancia dei pagamenti, sebbene a sua volta scatenerebbe prima o poi una crisi finanziaria per via dell’insostenibilità proprio di tali debiti esteri. Il loro valore in valuta locale non fa che aumentare per imprese, banche e stato.

Non è un caso che il costo dei CDS a 5 anni, i titoli che assicurano contro il rischio default, sia schizzato a 744 punti base.

Dieci anni fa, era sotto 170. In pratica, se vuoi garantirti da un evento creditizio turco, devi pagare il 7,44% all’anno del capitale nominale inserito in portafoglio. Ma con rendimenti al 10% o poco più, il guadagno effettivo scenderebbe intorno al 2,50%, meno di quanto offrano i T-bond americani. Insomma, investire nei bond della Turchia non conviene, dato che il gioco non varrebbe la candela. Troppo alto il rischio di un collasso finanziario con la lira turca che non accenna a stabilizzarsi sul mercato forex. Ed è una crisi che ormai va avanti senza sosta da una decina di anni.

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