La scorsa settimana, la banca centrale turca ha scioccato ancora una volta i mercati con una mossa a sorpresa. Il governatore Sahap Kavcioglu ha annunciato il taglio dei tassi d’interesse dal 14% al 13%, nonostante a luglio l’inflazione nel paese fosse salita al 79,6%, nuovo record dal 1998. A suo dire, ci sarebbero segnali di “disinflazione” e di “rallentamento dell’economia”. La lira turca ha ceduto quasi l’1% nelle ore successive, chiudendo la settimane a un tasso di cambio di 18,0855 contro il dollaro.

Considerate che il minimo storico lo toccò nel dicembre scorso a 18,36. Quest’anno, perde il 26%. E il taglio dei tassi in controtendenza rispetto al resto del mondo profetizza ulteriori lacrime e sangue per il cambio anatolico.

E’ evidente che la banca centrale non disponga di un briciolo di autonomia nel perseguire la sua politica monetaria. E’ ostaggio del presidente Recep Tayyip Erdogan, il quale pretende bassi tassi per sostenere l’economia e – audite, audite – combattere l’inflazione. L’esatto contrario di quanto sostengano i testi di macroeconomia.

Russia dietro al taglio dei tassi

Ad ogni modo, era dalla fine dello scorso anno che la banca centrale non tagliava i tassi. Perché proprio adesso? Se guardate al grafico delle riserve valutarie, notereste un forte rimbalzo nelle ultime settimane. Oro incluso, sono salite dai meno di 60 miliardi di dollari di luglio ai 72,6 miliardi del 12 agosto scorso. Questa impennata sarebbe dovuta all’ingresso di capitali dalla Russia. Erdogan sta giocando con estrema spregiudicatezza sul piano geopolitico. Pur essendo membro della NATO, non ha votato a favore delle sanzioni occidentali contro Mosca. Anzi, si è proposto come mediatore nel tentativo di risolvere la crisi con l’Ucraina.

Di fatto, Ankara gioca su due tavoli. Washington e Bruxelles sono costretti ad assistere senza infierire per non provocare crepe interne all’Alleanza Atlantica nel pieno della più grave crisi geopolitica con la Russia.

Solamente la società Rosatom starebbe trasferendo in Turchia 15 miliardi di dollari per la costruzione di un impianto nucleare locale. Erdogan esulta, perché questo afflusso di capitali stranieri può contenere la crisi della lira turca. Le aziende locali possono, ad esempio, prestare tale valuta alla banca centrale attraverso operazioni swap.

Lira turca attesa ancora più giù

Contrariamente alle previsioni del governo, però, l’economia turca non sta ancora beneficiando del cambio debole. Il saldo delle partite correnti nel primo semestre è stato negativo per 31 miliardi. Di questo passo, rischia di sfiorare il 10% del PIL nell’intero anno. In altre parole, Ankara non ha rilanciato affatto la propria competitività sui mercati internazionali e non si è mostrata in grado di attirare capitali, fatta eccezione recente per la Russia.

Per la lira turca saranno dolori. Sapevamo già di essere in presenza di una banca centrale disfunzionale, ma adesso abbiamo la consapevolezza che non esisterebbe alcun limite all’idiozia della sua politica monetaria. Confortato dall’amicizia dei russi, Erdogan imporrà probabilmente a Kavcioglu un nuovo taglio dei tassi quanto prima, specie se il rallentamento dell’economia domestica si accentuasse. Esso, tuttavia, è diretta conseguenza del boom dell’inflazione. Le famiglie perdono potere di acquisto e hanno minori possibilità di consumare. Al momento, i tassi reali sono crollati al -67%, record mondiale. Un esperimento monetario che non potrà che concludersi nell’unico modo possibile: l’uccisione della lira turca.

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