La Turchia dovrà attendere il prossimo 28 maggio per conoscere il nome del nuovo presidente, ma la vittoria al primo turno dell’uscente Recep Tayyip Erdogan è stata già sufficiente a provocare un terremoto sui mercati finanziari, coinvolgendo i bond in dollari emessi dallo stato e persino quelli degli organismi sovranazionali denominati in lire turche. I sondaggi avevano proiettato un altro film, ma in scena è andata domenica scorsa la stessa pellicola degli ultimi venti anni. Con il 49,5% dei consensi, Erdogan ha sfiorato la maggioranza assoluta necessaria per evitare il ballottaggio e ha staccato il suo principale rivale Kemal Kiricdaroglu di ben quattro punti percentuali.

Il suo AKP, pur con un consenso al minimo dal 2002 sotto il 37%, ha conquistato la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamenti insieme agli alleati: 321 su 600 seggi.

Erdogan parte doppiamente avvantaggiato nella sfida tra due domeniche. In primis, perché può farsi garante della stabilità politica, avendo la maggioranza parlamentare dalla sua parte. Secondariamente, grazie al vantaggio assegnatogli dal primo turno. C’è anche un fattore psicologico ad aiutarlo. Dopo mesi di campane suonate a morto da stampa, sondaggisti e analisti interni e stranieri, ha dimostrato di avere ragione e che tutti gli altri avessero torto. Per la lira turca la sua permanenza al potere è un problema. Aggiorna i minimi storici contro il dollaro di seduta in seduta, viaggiando verso un cambio di 20:1. Soglia che sarebbe stata già ampiamente superata in assenza di interventi della banca centrale per difendere la parità sul mercato forex.

I bond in dollari a 5 anni, scadenza 24 ottobre 2028 e cedola 6,125% (ISIN: US900123CQ19) è precipitato da una quotazione di 91,70 centesimi di venerdì scorso agli 82,42 di ieri. Un tonfo del 10%, che ha fatto schizzare il rendimento sopra il 10,70%. Peggio è andata al decennale con scadenza 19 gennaio 2033 e cedola 9,375% (ISIN: US900123DG28) è crollato da 104,31 a 91,49 centesimi, vedendo salire il rendimento all’11,10%.

Bond in dollari giù su attesa maxi-svalutazione lira turca

La ragione di questi tonfi potrebbe apparire non di immediata comprensione. Gli investitori scontano una maxi-svalutazione della lira turca dopo le elezioni. Un cambio ancora più debole farebbe esplodere il costo del debito in valuta estera, il quale diverrebbe teoricamente meno sostenibile, per cui anche più a rischio default. Non solo i bond in dollari emessi dalla Turchia vanno nettamente giù. Tra le obbligazioni in lire turche emesse dalle istituzioni internazionali, i crolli di questa settimana hanno superato persino il 16%. E’ il caso del bond con scadenza 29 settembre 2027 e cedola 30% (ISIN: XS2539440722) della Banca Asiatica per gli Investimenti in Infrastrutture quotava a 94,42 centesimi prima delle elezioni, ieri appena sopra 79 centesimi. Il rendimento è schizzato sopra il 40%.

Un altro bond in lire dello stesso istituto e in scadenza nel luglio 2024 perdeva ieri il 13% rispetto a venerdì scorso. Cali molto più contenuti (2-3%) per le altre scadenze, nonché per quelle emesse dalla Banca Mondiale. In questo caso, il legame con le aspettative di svalutazione del cambio è molto più diretto. Una lira collassata ulteriormente non farà che deprezzare il capitale dei titoli obbligazionari. Il punto è che con Erdogan ancora al governo diventa più probabile una maxi-svalutazione anche del 30% o più, dato che i capitali stranieri difficilmente rientreranno nel paese in assenza di riforme e con una politica monetaria caratterizzata da tassi d’interessi bassissimi. Una vittoria di Kiricdaroglu riporterebbe un minimo di fiducia sull’indipendenza della banca centrale, sebbene l’assenza di maggioranza in Parlamento ne limiterebbe la portata innovatrice. Il pessimismo perdurerà, chiunque vinca il ballottaggio.

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