E anche l’Arabia Saudita approfitta dei primi giorni di gennaio per emettere il suo primo bond in dollari del 2023. Questa è la parte dell’anno più liquida per i mercati finanziari, grazie al fatto che gli investitori istituzionali stiano tornando ad aprire i loro book per impiegare i capitali. E nell’attesa di capire se davvero la Federal Reserve allenterà la stretta sui tassi d’interesse, già i rendimenti sono scesi parecchio sui mercati internazionali. Non sappiamo quale sia l’importo a cui punta il regno (5 miliardi l’emissione dell’ottobre scorso), mentre sappiamo che il nuovo bond saudita sarà multi-tranche.

Per l’esattezza, tre sono le nuove scadenze offerte: a 5, 10,5 e 30 anni.

Stando alle indiscrezioni della vigilia, la tranche a 5 anni offrirebbe in partenza un rendimento pari al T-bond americano aumentato di 140 punti base o 1,40%. La tranche a 10,5 anni partirebbe da uno spread di 170 punti base o 1,70%. Infine, la tranche a 30 anni viaggerebbe in area +210 punti o +2,10%. Sulla base di questi dati, tutti da confermare al termine del collocamento, dovremmo attenderci un rendimento quinquennale sopra il 5%, uno decennale in area 5,20% e uno trentennale al 5,75%.

Numeri importanti per il bond saudita. L’emittente è fiscalmente molto solido. Nel 2022, il regno dovrebbe avere chiuso l’anno con un surplus di bilancio di oltre 100 miliardi di rial (27 miliardi di dollari), pari al 2,6% del PIL. E anche nel 2023 si attende di registrare un avanzo. Il debito pubblico si attesta sotto il 30% del PIL, ma in termini netti risulterebbe negativo, poiché la stessa Riad dispone di un fondo sovrano da 620 miliardi di dollari. Le agenzie di rating assegnano giudizi medio-alti ai bond sauditi: A- per S&P, A per Fitch e A1 per Moody’s.

Bond saudita in dollari tra caro petrolio e cambio

Date le condizioni fiscali, ci aspetteremmo rating più alti. Effettivamente, le agenzie scontano la dipendenza del bilancio statale ancora forte dal petrolio.

Pertanto, la solidità fiscale del regno è legata strettamente all’andamento delle quotazioni petrolifere. Ne consegue che dovremmo attenderci per il bond saudita prezzi tendenzialmente alti con una congiuntura favorevole al Brent. Tuttavia, la realtà si presenta più complessa. Ad esempio, il bond con scadenza 22 aprile 2060 e cedola 4,50% (ISIN: XS2159975882) è crollato da 117,55 a 89,15 centesimi in un anno fortunato per il greggio.

Il punto è che anche i titoli del debito saudita risentono dell’andamento dei rendimenti globali. E questi sono letteralmente esplosi nell’ultimo anno. D’altra parte, i rendimenti attesi dall’emissione del bond saudita multi-tranche sarebbero teoricamente capaci di tutelarci dal rischio di cambio. Nei prossimi anni, il dollaro dovrebbe deprezzarsi contro l’euro. Se accadesse, il capitale dell’investimento perderebbe di valore. D’altra parte, sulla scadenza a 10,5 anni il titolo di nuova emissione offrirebbe uno spread più alto di quello che oggi vige tra rendimenti americani e tedeschi sulla medesima scadenza. Ed esso capterebbe il deprezzamento medio annuo atteso per il prossimo decennio.

In altre parole, in teoria il bond saudita sarebbe in grado di reggere all’onda d’urto dell’indebolimento del dollaro nel medio-lungo termine per un investitore dell’Eurozona. Ma è altresì probabile che il collocamento esiti un restringimento degli spread sopra ipotizzati, come spesso avviene in queste operazioni. Vedremo eventualmente se in misura tale da intaccare l’appeal dell’emissione.

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