Da qualche giorno è negoziabile sul mercato una nuova obbligazione di tutto rispetto per dimensioni e cedola offerta (ISIN: US279158AS81). Si tratta del bond in dollari emesso la scorsa settimana da Ecopetrol, la compagnia petrolifera colombiana. Scadenza 13 gennaio 2033, presenta una durata di 10 anni. E stacca una cedola lorda annuale dell’8,875% corrisposta ogni sei mesi. Il primo pagamento avverrà a luglio. Il prezzo di emissione è stato di 99,187 centesimi, corrispondente a un rendimento alla scadenza del 9%. Si sono occupate del collocamento le seguenti banche: Citigroup, JP Morgan, Bank of Nova Scotia e Banco Santander.

Sono stati raccolti 2 miliardi di dollari.

Già ieri, alla Borsa di Francoforte il bond in dollari quotava a circa 102, offrendo un rendimento dell’8,76%. Rispetto al prezzo esitato in collocamento, abbiamo assistito a un rialzo del 2,8%. Niente male per un titolo che non ha sul mercato ancora una settimana di vita. Il rendimento iniziale è risultato a premio di 539 punti base sul T-bond a 10 anni. Tanto per lasciarselo sfuggire anche solo come ipotesi d’investimento.

Noi sappiamo, però, che ad alti rendimenti fanno da contraltare alti rischi. Ecopetrol è un emittente “non investment grade” o “speculativo”, stando a due delle principali agenzie di rating. I giudizi sono BB+ per S&P e Fitch e Baa3 per Moody’s. Andando a spulciare tra i bilanci, apprendiamo che nei primi nove mesi del 2022 la compagnia ha maturato un utile di 29.340 miliardi di pesos (6,36 miliardi di dollari) su ricavi per 119.800 miliardi ($26 miliardi). La liquidità disponibile al 30 settembre ammontava a 12.918 miliardi ($2,8 miliardi) e il debito a 107.800 miliardi ($23,38 miliardi). Tutti i dati prendono in considerazione il tasso di cambio al 30 settembre 2022.

Rischi del bond in dollari

Ecopetrol risulta controllata dallo stato con una quota di quasi l’89% del capitale. Pertanto, in borsa è negoziata solo una parte estremamente minoritaria. E’ evidente che la compagnia risenta dei rating sovrani bassi della Colombia, declassata da S&P e Fitch a “non investment grade” tra il 2021 e il 2022.

Non tranquillizza la recente vittoria del candidato marxista Gustavo Petro, un presidente più in sintonia con Caracas che con le capitali occidentali.

Il rischio di credito per il bond in dollari, pertanto, esiste. E’ legato certamente all’elevato indebitamento, così come anche alla natura ciclica del business petrolifero. La transizione ecologica, ad esempio, rappresenta una minaccia a lungo termine per il settore, sebbene anche Ecopetrol stia diversificando le sue attività, puntando sulle energie rinnovabili con la creazione di una società del fotovoltaico in comunione con Total Eren. Fatto sta che lo stato potrebbe sempre attingere ai suoi utili per finanziare programmi assistenziali, un po’ come avvenuto nei decenni passati con la venezuelana PDVSA.

E non meno insidioso il rischio di cambio. Il bond in dollari sembra molto remunerativo, ma allo stesso tempo il cambio euro-dollaro sta risollevandosi dalle ceneri dei mesi passati. Dovrebbe continuare a rafforzarsi nei prossimi anni, un fatto che deprimerebbe il valore effettivo del capitale convertito nella moneta unica. D’altra parte, l’alto premio offerto sul T-bond sarebbe esso stesso garanzia di tutela per gli investitori non americani. Infine, l’importo robusto emesso dovrebbe contenere il rischio di liquidità degli scambi sul mercato secondario.

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