Italia e Grecia sono le vittime predestinate e principali del “repricing” in corso sui mercati obbligazionari dopo l’ultimo board della BCE. E Atene registra le perdite maggiori, vuoi perché è e resta l’economia più indebitata dell’Eurozona e tra le prime al mondo, vuoi anche per le piccole dimensioni del suo mercato dei bond, le quali accentuano la volatilità. Il bond a 10 anni offriva ieri un rendimento lordo del 2,30%, il più alto dall’aprile 2020, cioè dall’inizio della pandemia.

Pensate che solamente sei mesi fa – eravamo nel mese di agosto 2021 – il rendimento decennale ellenico era sceso al minimo storico di neppure lo 0,55%. Da allora, il rialzo è stato di ben 180 punti base, cioè di circa il 330%. I bond della Grecia soffrono particolarmente l’atteso rialzo dei tassi BCE e la fine del PEPP dopo marzo. Essi hanno beneficiato di acquisti con questo programma monetario per circa 37 miliardi di euro alla fine di gennaio. Ricordiamo che, trattandosi di titoli “non investment grade”, non potranno essere acquistati con il “quantitative easing”, che rimane in vita dopo il PEPP, seppure forse per pochi mesi ancora.

Bond Grecia, possibili guadagni futuri

Pensate che la scadenza a 30 anni, 24 gennaio 2052 e cedola 1,875% (ISIN: GR0138017836), si è deprezzata del 30% dai massimi di agosto, crollando in area 80,50 centesimi e offrendo poco meno del 3%. Gli alti rendimenti di questa fase, tuttavia, potrebbero ingolosire presto il mercato. E’ vero che i bond della Grecia saranno rimasti senza paracadute con la cessazione degli acquisti realizzati tramite il PEPP. D’altra parte, però, la BCE continuerà a reinvestire le scadenze e ha confermato che sfrutterà la flessibilità consentita nel caso servisse. Cosa significa? Qualora i rendimenti ellenici, per esempio, salissero eccessivamente rispetto ai bond “benchmark” nell’area, l’istituto avrebbe modo di acquistare più bond della Grecia a discapito di altri.

Ora, se questo espediente potrebbe rivelarsi insufficiente per mettere in sicurezza il debito pubblico italiano, data la sua enorme mole (2.250 miliardi di euro in bond a fine gennaio), il discorso cambia per Atene, i cui titoli in portafoglio a Francoforte incidono per poco più del 2% degli acquisti complessivi con il PEPP.

Peraltro, l’80% dello stock è dato da prestiti bilaterali o del Fondo salva-stati, mentre solo il 20% si ha in forma di bond. Alla BCE basterebbe destinare qualche miliardo ai bond della Grecia in più per contenerne i rendimenti e sostenerne i prezzi. Infine, teniamo conto che con la pandemia Christine Lagarde ha voluto rassicurare circa la capacità della sua politica monetaria di superare le frammentazioni dei mercati nazionali. E dovrà dimostrarlo con i fatti riducendo gli spread entro una certa soglia se non vorrà perdere di credibilità.

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