I rendimenti sovrani e corporate sono schizzati negli ultimi mesi in tutto il mondo, persino nell’austera Germania. Il Bund a 10 anni si acquistava ieri a un rendimento di quasi il 2,45%. In Italia, il BTp decennale si avvicinava al 4,85%. E negli USA i Treasury viaggia ormai sopra il 4%. Dunque, rendimenti dei bond su ovunque, tranne in Giappone. Qui il decennale offre ancora appena lo 0,25%. E sebbene l’inflazione nipponica sia relativamente bassa, è comunque salita al 3%. Tuttavia, quando la prossima settimana si riunirà il board della Banca del Giappone, già sappiamo che non ci sarà alcun rialzo dei tassi d’interesse.

Questi restano fissati al -0,10%. A Tokyo è come se il tempo si fosse fermato al 2021 o anche prima.

Crollo yen con tassi negativi

Eppure lo yen sta collassando. Ieri, scambiava a un tasso di cambio di oltre 150 contro il dollaro, una soglia che non aveva toccato sin dall’agosto del 1990. Quest’anno perde circa un quarto del suo valore. Ed è normale che sia così. I capitali si dirigono dove possono spuntare tassi d’interesse più alti. I deflussi dalle economie con tassi più bassi ne indebolisce il cambio. I bond del Giappone si sarebbero dovuti deprezzare e i loro rendimenti esplodere per via delle vendite sul mercato. Ma non accade per il semplice fatto che sin dal settembre 2016 il Sol Levante adotta una politica monetaria improntata al “qualitative easing”. Tradotto: controlla la curva dei rendimenti.

Ai bond del Giappone a 10 anni non è consentito superare la soglia dello 0,25%. Se ciò accade, la banca centrale inizia ad acquistare i titoli finché il rendimento non si sarà riportato entro tale soglia. Questo “cap” o tetto è alla base del crollo dello yen. Se i rendimenti sovrani potessero salire, i bond del Giappone diverrebbero più appetibili e attirerebbero capitali dall’estero. La crisi dello yen si placherebbe.

In teoria, frenerebbe anche se la Banca del Giappone annunciasse l’innalzamento del cap, supponiamo allo 0,50%.

Bond Giappone, rischi per stabilità finanziaria

Perché non lo fa? Innalzare il cap significherebbe avallare ufficialmente la speculazione contro i bond del Giappone. I mercati scommetterebbero, infatti, su un ulteriore innalzamento della soglia-limite e venderebbero i titoli pensando che il loro prezzo continuerà a scendere. La Banca del Giappone si vedrebbe costretta ad acquistare quantitativi sempre più alti di titoli. Ne risulterebbe destabilizzata la politica monetaria. Se, invece, il cap fosse abbandonato tout court, il problema lo avrebbe il governo di Tokyo anche senza un rialzo dei tassi d’interesse. Infatti, i rendimenti si porterebbero ai livelli internazionali e sarebbe difficoltoso e costoso rifinanziare un debito pubblico al 260% del PIL.

E questo è proprio uno dei motivi per cui la Banca del Giappone non alza i tassi. Teme non solo ripercussioni negative per la già bassa crescita del PIL, bensì anche per la stabilità fiscale del paese. I bond del Giappone non hanno alcun appeal sul mercato, a meno che non si scommetta su un recupero dello yen contro le altre valute mondiali nei prossimi anni. In quel caso, solamente il fattore cambio li avrà resi remunerativi per gli investitori stranieri.

[email protected]