La strage di Hamas ordita ai danni dello stato di Israele ha avuto l’effetto di mettere in pausa la continua ascesa dei rendimenti obbligazionari sui mercati. Le tensioni internazionali incentivano gli investimenti nei “safe asset”. I movimenti risultano più accentuati sul tratto lungo della curva per effetto della maggiore “duration”. Come non pensare al bond a 100 anni dell’Austria? Da anni lo prendiamo come riferimento per valutare le variazioni dei prezzi e dei rendimenti sul mercato obbligazionario. Sono due le scadenze emesse da Vienna sin dal 2017, ma noi preferiamo ormai guardare alla seconda: 30 giugno 2120 e cedola 0,85% (ISIN: AT0000A2HLC4).

Rialzo quotazione in doppia cifra

Questo titolo era salito fino a una quotazione massima di 135 alla fine del 2020. Erano i mesi dei rendimenti negativi fino alle lunghissime scadenze. Il bond a 100 anni dell’Austria scese a un rendimento dello 0,35% in quel caso. Agli inizi di ottobre, la quotazione risultava sprofondata al minimo storico di neppure 35 centesimi. Il rendimento viaggiava in area 2,70%. Ieri, lo stesso si acquistava sul mercato secondario per 38,72 centesimi. Per quanto possano sembrare piccole variazioni, stiamo parlando pur sempre di un +10,7% in termini percentuali.

In sostanza, coloro che acquistarono il bond a 100 anni una decina di giorni prima, ieri avevano potuto rivenderlo con un profitto netto in area 9,4%. Ma questo è nulla rispetto ai guadagni a cui potremmo assistere nei prossimi mesi e anni, man mano che la quotazione tornerà a salire e i rendimenti a scendere. Il ritorno alla pari, tuttavia, ci sentiamo di escluderlo per un po’ di anni, a meno che non accadano cataclismi geopolitici e/o finanziari tali da riportarci alle stamperie delle banche centrali di qualche tempo fa.

Bond 100 anni, guadagni futuri in vista

E’ presupponibile che il mercato continui a pretendere anche nel prossimo futuro rendimenti accettabili per le lunghe scadenze. E ciò significa che il bond a 100 anni difficilmente potrebbe offrire un rendimento inferiore al 2%, che coincide con il target d’inflazione della Banca Centrale Europea.

Insomma, nessuno verosimilmente vorrà comprare un titolo a lunghissima scadenza con rendimento reale negativo. Considerate che al momento il rendimento lordo si aggira sopra il 2,60%. Una discesa al 2% o giù di lì comporterebbe un’impennata della quotazione, dato che la “duration” modificata vale 43,4. Ciò significa che un calo del rendimento dell’1% equivale a un aumento dei prezzi del 43,4%.

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