Questo giovedì, il Tesoro collocherà in asta titoli di stato a medio-lungo termine per un importo complessivo compreso tra 6,25 e 7,75 miliardi di euro. Si tratta di tre bond a 3, 7 e 15 anni. Ci concentreremo su quest’ultimo, vale a dire sul BTp 1 marzo 2037 e cedola 0,95% (ISIN: IT0005433195). La durata è interessante: né troppo lunga, ma neppure troppo breve. Ci consente di impiegare liquidità a rendimenti che iniziano a mostrarsi un minimo allettanti.

Il BTp 2037 si acquistava ieri a meno di 88,50 centesimi, offrendo un rendimento lordo annuale dell’1,94%, pari all’1,70% netto.

Se consideriamo che l’inflazione italiana a febbraio sia salita al 6,2% (dato armonizzato con il resto dell’Eurozona), capiamo benissimo quanto il rendimento reale attualmente sia estremamente negativo. Tuttavia, la crescita dei prezzi al consumo dovrebbe rallentare nel corso dei prossimi anni. Ad oggi, il mercato non si attende grosse variazioni nel lungo periodo.

BTp 2037 a confronto con bond retail

Detto questo, è pur vero che esiste un’altra scadenza omologa più remunerativa. Il BTp Futura 2037 (ISIN: IT000545442097) al momento ci offre un rendimento lordo annuo del 2,13%. Neanch’esso appare soddisfacente, ma pur sempre di una ventina di punti base superiore al BTp 2037 in asta dopodomani. A cos’è dovuta la differenza? Al fatto che il BTp Futura stacca cedole crescenti durante il periodo d’investimento. Nello specifico, partiamo da uno 0,75% per i primi 4 anni e arriviamo al 2% per gli ultimi 4.

Con un’inflazione così alta, meglio sarebbe puntare su bond con cedole più alte sin da subito, così da incassare un flusso di reddito a maggiore copertura della perdita del potere d’acquisto. Certo, non che il BTp 2037 eroghi un tasso sufficiente: 0,95% lordo, che rapportato al prezzo di acquisto significa 0,94% netto. E questo fino alla scadenza, mentre almeno con il BTp Futura saliamo gradualmente di quadriennio in quadriennio.

Non è detto che bisogna acquistare il BTp 2037 per mantenerlo in portafoglio fino alla fine.

Ad esempio, chi lo avesse fatto a metà febbraio, in appena tre settimane si sarebbe portato a casa virtualmente un guadagno netto superiore al 4%. In questo frangente, infatti, il prezzo è lievitato da 84,55 a 88,46 centesimi. C’è da dire che in questo periodo è scoppiata una guerra nel cuore d’Europa, altrimenti la quotazione avrebbe verosimilmente proseguito la discesa. Tant’è che dai massimi di 90,32 centesimi toccati a inizio marzo, il bond è tornato a ripiegare. Neppure le tensioni geopolitiche possono nascondere in questa fase un’inflazione che viaggia verso la doppia cifra.

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