Negli ultimi anni le compagnie aeree hanno scoperto una nuova classe di viaggiatori, giovani millennial che viaggiano per motivi di svago e non hanno problemi a sborsare qualche soldo in più per ricevere benefit quali possibilità di portare un bagaglio a mano in cabina, scegliere il posto per stare vicino al proprio partner, avere un pasto caldo, eccetera. Oggi la cosiddetta premium economy, com’è chiamato il servizio che sulla carta si dovrebbe collocare a metà tra un viaggio in economy e un viaggio in business class, si è trasformata in un’importante fonte di guadagno per le compagnie di volo.

Ecco allora, come le compagnie aeree ci fanno spendere di più per i voli low cost, dopo i tanti disagi per le cancellazioni dei voli. 

 Voli aerei low cost, la politica del “disagio calcolato”

“Disagio calcolato” è l’espressione usata per la prima volta da Tim Wu, esperto di norme sulla concorrenza, per descrivere le condizioni delle classe economy. Il ragionamento è il seguente: io compagnia aerea offro un servizio scadente di proposito, in questo modo induco te, passeggero, a pagare per servizi che prima erano gratuiti, come la scelta del posto, le modifiche di itinerario e il bagaglio in cabina.

Come le compagnie aeree ci fanno spendere di più, il concetto di “dolore del pagamento”

C’è anche un’altra spiegazione che chiarisce bene come la maggior parte delle compagnie aeree si muova per far spendere di più i propri clienti per i voli aerei. La professoressa Khan parla di “dolore del pagamento”. Anche in questo caso il concetto è piuttosto chiaro: le persone quando pagano qualcosa provano un dolore fisico, secondo quanto affermato dalla Khan; se io, compagnia aerea, ti propongo i benefit tutti insieme difficilmente verranno aggiunti alla prenotazione; invece, se offerti al momento del check-in in aeroporto o a distanza di molto tempo dall’acquisto dei biglietti online, allora ci saranno molte più possibilità che tu, passeggero, accetti di pagare qualcosa in più per fare un upgrade rispetto alle condizioni iniziali.

Questo succede – prosegue la professoressa Khan – perché non prendiamo in considerazione l’importo totale della spesa avendo già interiorizzato la prima.