Sempre più aziende puntano alla flessibilità dei dipendenti per aumentare la produttività. Lo dimostrano le sperimentazioni della settimana corta e l’aumento dello smart working, che molto spesso consente ai dipendenti di non lavorare il venerdì o di farlo da casa. Insomma, ridurre il tempo di lavoro per mantenere invariata la produttività o magari aumentarla, sembra ormai il target delle aziende che guardano con maggiore attenzione al benessere dei dipendenti. Il mondo del lavoro cambia e ormai c’è questa consapevolezza, legata soprattutto a modelli che puntano al bilanciamento tra vita privata e lavoro.

Molte aziende hanno già sperimentato la settimana corta e gli esperti iniziano a parlare del venerdì come di un giorno non più lavorativo.

Settimana corta e smart working, il venerdì non si lavora (quasi) più: così le aziende puntano alla produttività

I dati dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, indicano che nel 2023 in Italia ci sono 3,585 milioni di smart workers, lavoratori che operano da remoto, in crescita rispetto allo scorso anno e di un 541% rispetto al periodo pre-covid. Nel 2024 aumenteranno ancora e le aziende più grandi per il 96% dei casi è già convinta di prevedere lo smart working nei piani aziendali. Il motivo è presto detto: la necessità di attrarre talenti ma c’è anche la questione del risparmio energetico, che ha portato molte aziende a ripensare al venerdì come a un giorno di non lavoro, una sorta di smart working pre-weekend. Secondo i dati dell’Osservatorio, infatti, con due giorni di lavoro da remoto a settimana, si possono risparmiare 480 kg di CO2 all’anno a persona.

Alcune aziende come Generali, Intesa e Tim, prevedono già due giorni a settimana di lavoro e il venerdì a casa come nel primo caso o altre iniziative come per le ultime due aziende. Accanto al modello dello smart working, anche la settimana corta potrebbe prendere piede.

Alcune proposte in merito sono già state presentate. In futuro molte aziende potrebbero aderire a questo progetto se i dipendenti riusciranno a garantire la stessa produttività.

Sempre più giovani si dimettono dal lavoro, ecco perché

Secondo una ricerca della Cisl Lombardia e Bibliolavoro, che ha tenuto conto della risposta di lavoratori di età media di 43 anni, sono sempre di più i giovani che si dimettono e non è solo un problema di miglioramento economico. Per il 36% dei lavoratori la spinta alle dimissioni è l’eccessivo stress sul lavoro. Seguito da un clima aziendale negativo e relazioni deteriorate per il 34,9% e la busta paga per il 29,5%.

Non da meno, un altro fattore che spinge alle dimissioni, è la “necessità di maggior conciliazione vita-lavoro“. Quindi poter lavorare da casa, senza dimenticare la “ricerca di un lavoro più stimolante e interessante“. Il 39,5% dei lavoratori lombardi, inoltre, si è dimesso senza avere una nuova occupazione. Solo in Lombardia nel 2021 si sono dimesse 420mila persone, 566 mila nel 2022, il 75% di questi aveva un contratto a tempo indeterminato. Per gli intervistati un posto di lavoro attrattivo è rappresentato dal clima aziendale, seguito dalla remunerazione e l’equilibrio tra vita privata e lavoro.

Riassumendo

  • Sempre più aziende usano lo smart working per venire incontro alle necessità dei dipendenti.
  • Il venerdi, spesso, è considerato quasi un giorno di non lavoro o di lavoro da remoto
  • Intanto sono sempre di più i lavoratori che si dimettono dal posto fisso per cercare nuove prospettive occupazionali.