L’inflazione distrugge il potere di acquisto delle famiglie. I redditi, sia che derivino da lavoro sia che derivino da pensione, sono messi a dura prova dal rialzo dei prezzi di largo consumo di beni e servizi. Niente di nuovo da questo punto di vista, solo non eravamo più nabitiati da decenni. Ma nel 2022 l’impennata violenta del carovita ha spiazzato un po’ tutti.

Come si evince anche i dati dal XII rapporto annuale dell’Inps presentato lo scorso 13 settembre dal commissario straordinario Micaela Gelera alla Camera dei Deputati.

Nel documento previdenziale si evidenzia come, a fronte di un rialzo dell’inflazione del 8,1%, l’Inps abbia messo in campo tutti i mezzi e le risorse a disposizione per sostenere le famiglie più in difficoltà negli ultimi tempi.

Pensionati più colpiti dei lavoratori

Le famiglie che hanno potuto attingere al risparmio privato sono riuscite ad attutire l’impatto dell’inflazione, ma non tutte hanno potuto farlo. Tante, soprattutto quelle dei pensionati, hanno dovuto fare ricorso a finanziamenti, come i prestiti bancari e di finanziarie a tassi elevati o la cessione del quinto della pensione.

Rispetto ai lavoratori, i pensionati hanno pagato e stanno pagando di più il rialzo dell’inflazione del 2022, come si evince dal calo della propensione al risparmio e dall’aumento delle vendite di prodotti alimentari e di prima necessità nei discount. Ma anche dal calo dei pernottamenti e delle vacanze estive.

Secondo l’Inps, le perdite di reddito reale sono 3,5 volte maggiori nelle famiglie con pensionati rispetto a quelle con lavoratori. Il che la dice lunga su quanto ha impattato il violento rialzo dei prezzi sul tenore di vita degli italiani nell’ultimo anno.

Rivalutazioni in ritardo e insufficienti

Se i salari hanno potuto beneficiare di un rialzo medio dovuto all’aumento dell’occupazione generale, le pensioni sono solo adeguate annualmente in base al meccanismo della perequazione automatica.

Ma mentre i prezzi salgono subito, gli assegni si adeguano sempre in ritardo. Il meccanismo della perequazione automatica non è, infatti, immediato.

Nel 2023, con l’inflazione già oltre l’8% da diversi mesi, le pensioni sono state rivalutate dal 1 gennaio, ma i beneficiari hanno percepito i primi aumenti solo a marzo. Per gli extra incrementi delle pensioni minime si è addirittura dovuti aspettare il mese di giugno. Ma non è finita qui.

Gli adeguamenti delle pensioni al carovita sono stati riconosciuti solo nella misura parziale del 7,3% rispetto a un’inflazione del 8,1%. La differenza dello 0,8% sarà corrisposta solo a partire dal 1 gennaio 2024, con i dovuti arretrati s’intende. Ma comunque con notevole ritardo rispetto all’aumento dei prezzi.

Il taglio delle pensioni

Dulcis in fundo, le pensioni sono state rivalutate pienamente solo fino a 2.100 euro lordi al mese in base a sei fasce di reddito. Cioè nella misura di quattro volte l’importo del trattamento minimo del 2022. Al di sopra di questa soglia la rivalutazione diminuisce gradualmente fino ad arrivare al 32% per le pensioni il cui importo supera di dieci volte il trattamento minimo. Quindi dai 5.250 euro al mese in su.

Questa manovra studiata per il 2023 e 2024 dal governo Meloni e approvata dal Parlamento con la legge di bilancio ha permesso notevoli risparmi di spesa, ma ha messo altresì in difficoltà molte famiglie italiane. Si pensi anche solo a un nucleo familiare di 4 persone al cui interno c’è solo un pensionato con un reddito da 3.000 euro lordi al mese. O a chi, pur beneficando di pensioni medio alte deve pagare un mutuo.